francesco-rutelli
ANSA/ETTORE FERRARI
News

Il ritorno di Francesco Rutelli

La kermesse romana dell'ex sindaco di Roma per rilanciare il centrosinistra con i protagonisti di 20 anni fa

“Imprenditori, costruttori, esperti di questo e di quell'altro, tutti ricconi, con la villa a Capalbio e la barca al Circeo”. La kermesse rutelliana di sabato scorso, battezzata “La prossima Roma”, duemila persone assiepate nel centro congressi RomaEventi di via Alibert, alle spalle di piazza di Spagna, due passi da via Margutta e via del Babuino (scelta popolare, insomma), è ancora in corso. Nel chiacchiericcio tra cronisti, uno di loro la descrive a caldo così.

Si dice che da Palazzo Chigi Matteo Renzi sia stato ad osservare l'iniziativa dell'ex sindaco di Roma nata non per tirare la volata a qualcuno (Alfio Marchini presente in platea) ma per “contribuire ad una partecipazione qualificata” con l'obiettivo di una “riconquista civica”, per “concorrere a definire una nuova progettualità per la città” e per “far emergere alcune decine di persone, sia giovani sia dotate di esperienze qualificate, in grado di mettersi al servizio di Roma”.

I due si conoscono da una vita. All'inizio della sua carriera Renzi era considerato il pupillo di Rutelli, tra i primi a scommettere sul giovane di Rignano. Nel tempo molti rutelliani sono diventati renziani. Filippo Sensi, per dirne uno, prima di diventare lo spin doctor del premier era il portavoce dell'ex ministro dei Beni culturali. Per anni i due si sono sentiti quasi quotidianamente, poi i rapporti si sono raffreddati. Fino alle bocciature a mezzo stampa e al disconoscimento della paternità politica: “Renzi non è una mia creatura, è una creatura al 100% di Renzi”.

Ammissione fondata vista l'allergia del segretario dem verso padri, padrini e padri nobili. Più o meno il ruolo al quale oggi Rutelli sembra aspirare per riproporsi sulla scena politica romana e che fu, almeno fino al 2013, di uno che, a sua volta, fu il creatore di Rutelli: quel Goffredo Bettini, più deus ex machina che padre nobile del centrosinistra capitolino, caduto più o meno in disgrazia solo dopo il fallimento amministrativo del marziano Ignazio Marino, ultimo coniglio pescato nel suo cilindro dopo Rutelli, appunto, e Walter Veltroni.

Per questo l'atmosfera della "Lupolda" (come è piaciuto allo stesso Rutelli ribattezzarla), così impregnata di generone romano - un contesto dal quale Renzi si è sempre tenuto debitamente alla larga - aveva qualcosa di profondamente dissonante rispetto al clima delle vere Leopolde, eventi orchestrati per portare alla ribalta una nuova generazione e non per riesumare quelle vecchie. 

Al centro congressi di via Alibert, oltre ai soliti imprenditori, esponenti della società civile, dell'associazionismo e del terzo settore (qualunque cosa voglia dire), Francesco Rutelli ha chiamato a raccolta una buona parte dell'ex classe dirigente romana. Quella che, dopo aver fatto di tutto per restare in sella il più a lungo possibile, oggi dice che non c'è una nuova classe dirigente in grado di rimettere in moto la città e lo dice perché ancora non si è arresa al fatto di non essere più classe dirigente della città.

A leggere l'elenco dei presenti, età media 60 anni, tutti si portano davanti al nome un “ex” qualcosa. Da Walter Tocci ex vice sindaco di Veltroni a Marco Causi suo ex assessore al Bilancio e recentemente, ma solo per qualche mese, ex vicesindaco nella giunta di Ignazio Marino, all'altro ex assessore Roberto Morassut, all'altra ex Ileana Argentin, a Paolo Cento a Umberto Marroni a Enrico Giovannini.

Un tuffo negli anni '90, con tutta la classe politica e dirigente dell'epoca quasi al completo pronta oggi a inchinarsi di fronte a "ciccio bello",  un po' ex un po' neo salvatore della patria, di nuovo sdoganato dopo gli anni di rimozione collettiva seguiti al fallimento della sua candidatura nel 2008 contro Gianni Alemanno e alla vicenda Lusi, l'ex tesoriere della Margherita di Rutelli condannato per aver svuotato a fini privati le casse del suo stesso partito.

Per carità, Rutelli – considerato da molti un ottimo sindaco, protagonista indiscusso della rinascita di Roma negli anni '90 - non vuole proporsi di nuovo per quel ruolo come invece ha fatto Antonio Bassolino a Napoli. Ma vuole poter dire la sua e pretende anche che sia ascoltata. “Mai voterò per chi non si presenta con almeno 100 persone intorno”. Se oggi il Partito Democratico romano versasse in condizioni meno complicate, come minimo si sarebbe beccato un sonoro “e chissene frega”. Invece nessuno si è azzardato.

Anzi, alcuni degli ex consiglieri appena dimessi, erano lì ai suoi piedi che pendevano dalle sue labbra. Comprensibile, per carità - cercare di riciclarsi è una tentazione quasi irresistibile - ma tutto sommato un po' triste. Anche perché non tiene in considerazione il fatto che la rinascita del centrosinistra a Roma non può passare né solo attraverso una kermesse, per quanto di successo, né attraverso una candidatura, per quanto vincente (l'esperienza Marino dovrebe insegnare qualcosa).

E questo deve averlo ben presente il commissario Matteo Orfini che, guarda caso, non si è fatto vedere e continua a lavorare alla ricostruzione di un partito tramortito di cui, oggettivamente, Rutelli approfitta. I più benevoli gli riconoscono di aver riaperto il dibattito in città. Altri invece di essere piombato come un avvoltoio sulle macerie lasciate dalla caduta di Marino. Ma la vera domanda che il Pd, il centrosinistra e in fondo lo stesso Matteo Renzi, dovrebbero porsi è: Rutelli è utile o no alla battaglia per la riconquista della città? Forse sì. Ma che si possa essere buoni per tutte le stagioni invece sicuramente no.

I più letti

avatar-icon

Claudia Daconto