L'Imam che in università incita alla Jihad ci dice che è l'ora di mettere dei limiti
Ci siamo messi, in nome dell'accoglienza, su di un piano inclinato pericoloso. Prima si ferma la discesa, meglio è
«Un jihad che vediamo in Palestina nella sua più importante più palese manifestazione. Un jihad compiuto da donne, da uomini da bambini ognuno con quello che può contribuisce a questa lotta di liberazione che è cominciata dal primo momento in cui i sionisti hanno calpestato quella terra Benedetta». In una scala da 0 a 10 quanto è grave questa affermazione che inneggia alla Guerra Santa contro Israele (e non solo)? beh, 10. e non ci sono dubbi a riguardo. Ci sono però della aggravanti. Ad esempio che queste parole non arrivano da un leader di Hamas con Kalashnikov in spalla a Gaza ma da un Imam che vive in Italia. A quel punto il punteggio della gravità arriva al massimo, a 10 e lode. Purtroppo però non è finita. Perché l’imam in questione non solo ha pronunciato questa frase in Italia, nella sua moschea, ma in un locale dell’Università di Torino, occupata dagli studenti pro-Palestina, il tutto in un paese che si dice laico, che toglie i crocifissi dai muri ma a quanto pare tollera il Corano. Ed allora oltre alla lode bisogna aggiungere la laurea con bacio accademico, tanto per restare in tema con la location.
Insomma, ormai lo sprofondo delle università non sembra avere limiti. Già l’occupazione (da parte della solita minoranza, molto rumorosa, ma pur sempre minoranza) è una cosa che non si può più tollerare ma se poi questa cosa viene utilizzata per aggiungere odio e tensione ad un fuoco che brucia bene già da solo, beh, allora siamo davvero al limite.
Ed è proprio limite la parola chiave.
La sensazione infatti è che, in nome dell’accoglienza e dell’apertura mentale, non ci sia alcun limite verso gli stranieri ed un certo tipo di Islam.
Non c’è limite per chi delinque, per chi ha più di un reato alle spalle, per chi dev’essere espulso, clandestino e pericoloso. Non c’è limite dato che alla fine li ritroviamo in strada ad aggredire passanti, come la cronaca delle ultime settimane di Milano ci ha ben raccontato.
Non c’è limite per un’accoglienza che sembra toccare ogni giorno nuovi record. Si è tanto parlato del giorno di festa per la fine del Ramadan, come tanto si è parlato delle manifestazioni pro-Palestina in molti, moltissimi atenei italiani. Si è accettato che pochi studenti accompagnati da qualche decina di professionisti della protesta potessero prendere d’assalto riunioni del Senato Accademico, imponendo la loro linea e le loro idee a dei docenti che hanno accettato in silenzio, a testa bassa.
Non c'è limite alla prostrazione se a Treviso due studenti musulmani sono stati esentati dal seguire le lezioni sulla Divina Commedia, perché «testo religioso che offende l'Islam», in cambio di alcune ore personalizzate (chissà poi su cosa...).
Adesso accettiamo che un Imam trasformi uno spazio universitario in moschea ed inciti alla guerra santa.
Il problema dei limiti è uno solo: è semplice metterli all’inizio, molto più complesso porli in corso d’opera, quando ormai la valanga prende, nella sua discesa, sempre più forza e sempre più neve.
Certa gente, apposta, cerca ogni giorno di spostare il limite un po’ più avanti, sale le scale un gradino alla volta nella speranza di arrivare al fatidico «siamo liberi di fare quel cavolo che ci pare».
A me non spaventa tanto quello che è successo ieri all’Università di Torino, ma quello che potrebbe succedere da domani, altrove. Spaventa il silenzio della sinistra, anzi, la sua solidarietà silenziosa.
Ps. Provate per un attimo a pensare se in una università occupata da attivisti Pro Vita un sacerdote avesse provato a organizzare una preghiera e durante la predica avesse fatto dichiarazioni anti aborto. Oggi cosa sarebbe successo in questo sempre più debole paese?