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(Ansa)
Politica

L'Inps si prende l'Inpgi , compresi i dipendenti

L'istituto di previdenza dei giornalisti, in bancarotta, viene assorbito dall'Inps che si accollerà oltre i conto in rosso anche i 100 dipendenti

La cassa previdenziale dei giornalisti è fallita, con un disavanzo di 250 milioni. Questo anche perché negli anni ha garantito pensioni troppo generose ed età pensionabili troppo basse. Per anni sono stati in pochi a denunciarlo, tra tutti Tito Boeri con i colleghi della voce.info, mentre i dirigenti dell’Inpgi, ordine e sindacati dei giornalisti, coprivano o smentivano.
Stavolta la verità inequivocabile viene direttamente dall’Inps che con uno studio pubblicato il 10 febbraio ha valutato l’analisi sugli squilibri finanziari che hanno giustificato l’ingresso dell’INPGI in INPS con legge finanziaria 2021 accollando al bilancio pubblico la copertura dei disavanzi che si sono generati.

La situazione dei conti previdenziali INPGI/1 era infatti insostenibile, dal momento che ai ritmi degli ultimi anni, 600 milioni di uscite e 400 milioni di entrate, il patrimonio si sarebbe azzerato entro il 2027.Nello stesso periodo le uscite dal fondo, circa un migliaio di unità all’anno tra pensionamenti e cessazioni, sono state il doppio delle nuove assunzioni.Ha un impatto anche il fatto che i pensionati sono usciti con pensioni mediane lorde di 60.000 euro, contro retribuzione di circa un terzo ai nuovi assunti.
Dal primo luglio 2022 dunque i privilegi di cui hanno goduto e continuano a godere i giornalisti già pensionati, verranno pagati da tutte le altre categorie. E che di privilegi si parla, è scritto chiaramente proprio nella nota Inps.

Non si può non segnalare - scrive l’ente - che il calcolo delle pensioni in INPGI/1 è sempre stato più favorevole rispetto ad altre categorie di lavoratori, anche a parità di retribuzioni.Le differenze più significative nell’ambito delle modalità di calcolo delle singole quote di pensione sono date principalmente dalle modalità di calcolo della retribuzione pensionabile (fino al 2006 la retribuzione pensionabile poteva considerare i migliori 10 anni della carriera lavorativa), dall’aliquota di rendimento (fino al 2015 era pari al 2.66% per anno lavorato, contro un 2% per i dipendenti privati) e dall’introduzione tardiva del calcolo contributivo puro (dal 2017, mentre per il settore privato la decorrenza è dal 1996 per chi non avesse 18 anni di contribuzione).

Alla luce delle differenze rilevate in termini di anzianità contributiva e retribuzione e nell’ipotesi di carriere e valorizzazioni delle pensioni simili per dipendenti pubblici e giornalisti, il montante potenziale dei contribuenti a INPGI/1 è il doppio di quello dei dipendenti pubblici. Se i contribuenti INPGI/1 fossero stati soggetti alle stesse regole di calcolo dei lavoratori pubblici, un importo pensionistico pari a 2,4 quello dei pubblici avrebbe richiesto, in media, 6 anni di contribuzione in più di quella effettivamente realizzati.

L’analisi ha evidenziato come i giornalisti abbiano beneficiato di criteri per la determinazione del trattamento pensionistico diversi e più favorevoli rispetto ai lavoratori dipendenti pubblici e privati. Questa esperienza dimostra come possa essere problematica la sostenibilità di fondi previdenziali che si basano su una sola categoria di lavoratori, il cui futuro è incerto ed in continua evoluzione. Viceversa, l’adesione dei lavoratori ad un fondo previdenziale pubblico e universale consente di distribuire su tutte le categorie professionali i rischi dell’evoluzione tecnologica, traendo nel contempo beneficio dall’ingresso di nuove professionalità.La vicenda INPGI/1 - secondo l’Inps- fornisce una lezione anche per altre Casse previdenziali. Pur mantenendo la separazione attribuibile alle specificità professionali, qualora si prevedesse il loro accorpamento all’interno di un unico ente, anche di natura privatistica, si assicurerebbe una maggiore sostenibilità ed una solidarietà più diffusa, oltreché uniformità di requisiti e regole di calcolo che assicurerebbero maggiore equità tra i lavoratori.

La confluenza dell’Inpgi nell’Inps senza alcun contributo di solidarietà comporta di fatto una garanzia pubblica su pensioni 20 e più volte superiori alle pensioni sociali, per questa ragione secondo Boeri e Perotti, non ci sarebbe nulla di scandaloso nel chiedere un contributo di solidarietà a quel 5% di pensionati Inpgi con trattamenti superiori ai 9500 euro al mese. E invece nessuno di questa casta, a danno dei giovani prima della stessa categoria e poi delle altre, perderà i privilegi acquisiti negli anni.

Tant’è che persino quando lo scorso anno si era pensato a un contributo straordinario dell’1% a carico dei giornalisti attivi (aumento delle tasse) e dei pensionati (taglio dell’assegno), subito l’idea è stata accantonata con la scusa che difetto avrebbe contribuito solo a meno del 10% del disavanzo. Anche se perlomeno, anche eticamente, avrebbe rappresentato un’assunzione di responsabilità. Sicuramente più del salvataggio di stato cui stiamo andando incontro. I giornalisti godono infatti anche di prepensionamenti privilegiati: 62 anni di età e 25 di contributi, cioè di fatto una quota 87. Nel calcolo della pensione possono vedersi riconosciuti fino a cinque anni di contributi mai versati. Questo comporta un ulteriore aumento dell’assegno fino al 20 per cento. Gli oneri sono pagati dallo stato al 70 per cento. La bozza di Legge di Bilancio rifinanzia anche questi ammortizzatori sociali.E probabilmente si sarebbe continuato su questa scia se nel frattempo non fosse intervenuta una profonda crisi del settore, che ha causato un forte calo del numero di contribuenti (-17 per cento in dieci anni) e ancor più del monte salari su cui vengono prelevati i contributi (-18 per cento).
Tra l’altro la legge di Bilancio prevede anche che l’Inps si farà carico di 100 dipendenti dell’Inpgi. E infatti la presidente dell’Inpgi Marina Macelloni non si scompone neppure difronte al fallimento ormai ufficializzato, e anziché ammettere la debacle rivendica, come se nulla fosse, i vantaggi raggiunti per via politica a spese dei contribuenti “Con il passaggio in Inps, siamo riusciti a ottenere la migliore soluzione possibile, perché sia giornalisti dipendenti che pensionati saranno garantiti dalla previdenza pubblica. Inpgi continuerà ad esistere e si trasformerà, rimanendo un presidio fondamentale di difesa e tutela di questa professione”.
Il salvataggio effettuato dal governo Draghi è comunque meno dannoso di quello che stava portando avanti il governo Conte che aveva negoziato con i vertici dell’Inpgi una soluzione assurda: allargare la platea dei contribuenti spostando nell’Inpgi 17 mila iscritti all’Inps (tutti i comunicatori professionali”: portavoce, addetti stampa, etc.) che ovviamente hanno subito protestato bloccando la riforma Conte.
Tutto questo con il Segretario Nazionale della Federazione Stampa Italiana Raffaele Lorusso che dice non si tratta di mala gesto visto che gli organi di vigilanza (in primis i ministeri) non sono mai intervenuti, e la politica che dice che si è arrivati a questo punto perché la vigilanza non è stata esercitata.
Resterà invece attiva e autonoma L’INPGI 2, che riscuote i contributi dai giornalisti autonomi. Questa cassa ha ancora i conti in attivo poichè la platea iscritta all’INPGI 2 è perlopiù giovane, per cui al momento sono in tanti a versare i contributi e in pochi a ricevere l’assegno.
Sarebbe da aprire un altro capitolo poi sull’ordine e le troppe differenze di accesso regolate dai regolamenti regionali, sia per i costi di iscrizione che per il numero di articoli necessari per diventare pubblicisti: da 70 nel biennio per Lazio e Veneto, 70 in Campania e il picco assurdo dei 150 articoli per l’ordine della Puglia.

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Annarita Digiorgio