Nicola Gratteri
(Ansa)
Politica

«Non esistono droghe leggere e droghe pesanti. Esistono solo le droghe»

A Panorama.it il procuratore della Repubblica Nicola Gratteri racconta la sua professione e dipinge un quadro attuale dell'Italia, dalla scuola alla cannabis light passando per il problema del sovraffollamento delle carceri

“Era il 1986 quando ho vinto il concorso in magistratura. Potevo scegliere dove andare. Potevo andare in posti tranquilli come per esempio sulla riviera adriatica. Ma ho pensato di rimanere in Calabria e fare qualcosa per la mia terra, per porre un freno allo strapotere dell’Ndrangheta”. Per Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica più famoso d’Italia, non ci sono dubbi: si riesce bene in ciò che si fa solamente se ci si crede fino in fondo. Gratteri è a Tricarico, un piccolo paesino della Basilicata che ha dato i natali a Rocco Scotellaro, il poeta contadino. Parla con la gente per poi raccontarsi a Panorama.it. Ammette che la forza delle sue scelte radicali arriva dagli ultimi, dai disperati, da quelli che nessuno accoglie. “Io ricevo tutti, anche quelli che non stanno bene con la testa. A volte la gente non parla perché non sa con chi parlare, perché non si fida di nessuno, forse perché non siamo credibili. Bisogna conquistare la fiducia. Bisogna che la gente creda in noi per essere aiutata”.

Purtroppo anche i giovani sono sfiduciati, non credono nel sistema. Cosa propone di fare?

Ai giovani posso dire di studiare per non essere fregati dagli adulti. Devono studiare per affermarsi perché ci sono anche i posti per i non raccomandati. Ci sono anche i posti per gli ultimi. Però per occuparli bisogna studiare il doppio. Quindi, anche gli ultimi, ovvero i figli di nessuno, ce la possono fare.

Cosa vuol dire investire sull’istruzione in Italia?

Investire sull’istruzione vuol dire innanzitutto pagare meglio gli insegnanti. Vuol dire fare una scuola a tempo pieno perché altri insegnanti possano formare i ragazzi durante il pomeriggio. Colgo l’occasione per fare un appello alle insegnanti e dire che se non fanno in tempo e, quindi, non riescono a fare una giornata sulla legalità non è un dramma. E’ urgente e importante, invece, portare i ragazzini in una comunità terapeutica, la più vicina, per parlare con i tossicodipendenti. Per chiedere loro come hanno iniziato a drogarsi, perché sono in quel luogo. Cosa gli è successo. E’ importantissimo. Sarà una delle giornate più importanti della loro vita.

Il decreto sicurezza approvato negli scorsi giorni prevede una forte restrizione all’uso della cannabis light equiparandola a quella non light e mette in allarme i 15.000 dipendenti delle 3000 aziende che producono e commercializzano cannabis light. Cosa ne pensa?

Bisogna rendersi conto che non esistono droghe leggere e droghe pesanti. Esistono solo: le droghe. Ricordiamoci che tutte le droghe creano dipendenza e la salute è prioritaria rispetto ai posti di lavoro. Il diritto alla salute deve prevalere sul diritto al lavoro. Ricordiamoci che quando un essere umano dipende da qualcosa è sempre ricattabile.

Qual è la situazione dei giovani tossicodipendenti in carcere?

Nelle carceri ci sono migliaia di ragazzi tossicodipendenti. Le carceri sono dei contenitori. Non si fa trattamento. Un detenuto in carcere costa 180 Euro. Un tossicodipendente agli arresti domiciliari o in una comunità terapeutica costa 60 Euro. Allora, se noi riuscissimo a portare i giovani detenuti tossicodipendenti nelle strutture per disintossicarsi, avremmo tre effetti: 1. con il costo di uno se ne potrebbero curare tre, 2. risolveremmo in parte il sovraffollamento nelle carceri. 3. potremmo rendere più sicura la società perché in genere succede che un tossicodipendente appena esce dal carcere ruba per comprarsi una dose.

In carcere ci sono anche altre presenze come quelle dei malati che soffrono di disturbi mentali. Lei come risolverebbe il problema per risollevare la loro sorte?

E’ vero, nelle carceri ci sono centinaia di malati di mente. Dopo la chiusura dei manicomi non sono state costruite le strutture protette. Però, penso alle centinaia di ville con parco sequestrate e confiscate ai capi mafia. Basterebbe ristrutturarle e recintarle per accogliere le persone malate in queste strutture, assumendo medici e infermieri per curarle e farle vivere in modo più decoroso e dignitoso. In carcere, l’unica soluzione a quei momenti in cui i malati di mente diventano violenti è dare loro medicine per stordirli. Ma non è questa la speranza che bisogna dare, non è la cura per queste persone.

Come sono fatte le giovani mafie?

Le nuove mafie sono contemporanee e si adeguano e si adattano alla società e al contesto economico. Non sono corpi estranei alla società, fanno parte di noi. Se ci sono ancora mafie, vuol dire che c’è bisogno di mafia.

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Rosita Stella Brienza

Laureata in Scienze della Comunicazione all'Università Lumsa di Roma; Master in Business e Comunicazione all'Istao di Ancona. Giornalista dal 2008 per Repubblica, La Nuova del Sud e Panorama.it. Dal 2015 collaboratrice a Radio Laser

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