L'ascesa di Casalino, un segno dei tempi
Il portavoce di Giuseppe Conte è un simbolo del nulla al potere.
Dovremo fare a meno dell'autobiografia di Rocco Casalino. È un brutto colpo, ma possiamo sopportarlo. Proprio come il tomo stampato e poi ritirato del ministro della Salute Roberto Speranza, anche la sudata opera del portavoce di Giuseppe Conte è stata bloccata prima della pubblicazione a causa della crisi di governo. Forse l'autore dovrà aggiungere un capitolo in più: quello della defenestrazione orchestrata da Matteo Renzi.
Ecco, adesso che la fiction è terminata nel più triste dei modi, e che anche il Rasputin di piazza Colonna è consegnato alla storia, cosa rimarrà del casalinismo, essenza comunicativa di Giuseppe Conte? Sicuramente la convinzione di entrambi, Rocco e Giuseppi, di essere dei fuoriclasse, a prescindere dalla realtà dell'universo che afferma il contrario. Questa sicumera trabocca da quella frase a corredo del libro mai uscito: «Casalino, uno degli uomini più decisivi degli ultimi anni». Casalino che si fa spazio sgomitando tra Barack Obama e Papa Francesco: cose che i nostri nipoti non potranno mai capire.
La mancanza di senso del ridicolo emerge anche da quella copertina un po' fanfarona, in cui l'uomo ombra del premier siede senza cravatta su una lussuosa poltrona, proprio come il macchiavellico Frank Underwood, il protagonista della serie House of Cards. Insomma, la coppia di Palazzo Chigi ha sempre pensato di volare altissimo: e in questi casi, quando si precipita, il botto fa ancora più rumore. Si sono isolati dalla realtà, di fatto trasformando Palazzo Chigi nella casa del Grande Fratello. Per Rocco, un ritorno al passato.
E poi la filosofia casalinica è stata sicuramente l'anima del circo mediatico imbastito intorno al premier. Era lui il regista degli Stati Generali, era lui l'artefice dei «discorsi del reuccio» a reti unificate. C'era sempre Ta-Rocco dietro (e spesso anche davanti) la telecamera, a reti unificate. C'era ancora lui quando venivano passate ai giornalisti le famose bozze dei Dpcm, come fossero le anticipazioni di un best-seller imperdibile. Oggi sembrano istantanee sbiadite, ma è quello che ci resterà più impresso: le dirette Facebook a notte fonda, il portavoce factotum che dirige le telecamere, smista i giornalisti, controlla le domande, aggiusta i riflettori, ammicca alla telecamera come a dire: questo premier l'ho creato io, e me ne vanto. Insomma, uno che nella vita ha visto troppe serie tv.
Ci spingiamo a dire che il portavoce che non ha più voce da portare, rappresenta qualcosa di più. È uno dei simboli viventi del nulla al potere, cioè di questa fase della politica italiana: per un avvocato sconosciuto che sale al governo, abbiamo avuto un ex grande fratello a dirigerne la comunicazione. Quando ripenseremo alla crisi di sistema di questi giorni, non potremo far altro che etichettarla così: «Erano i tempi in cui anche uno come Casalino poteva andare al potere».
Cosa non daremmo, per assistere al momento in cui, facendo gli scatoloni, l'ex portavoce magari incrocerà il premier entrante Mario Draghi. Forse si guarderanno negli occhi. Forse si riconosceranno. Finché l'ex capo della Bce si rivolgerà all'interlocutore con le parole che gli competono: «Ragazzo, mi porterebbe un caffè?».
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