La chimica nel piatto: grossa «Grana» per l'Italia
L’Europa dà il via libera al latte sintetico, che mette a fortissimo rischio qualità e varietà dei prodotti italiani: da Parmigiano Reggiano e Grana Padano a un’ottantina di altre specialità casearie Dop. Un suicidio per l’economia continentale.
Che fosse Pecorino o Fontina si usava, quando l’aristocrazia rurale voleva mangiar bene, andare a comprare «la giornata di latte». Era un vezzo gastronomico di denso significato: ogni casa aveva il suo stile nel servire il formaggio. Sapendo dove le pecore o le vacche avevano pascolato, se sui prati di erica piuttosto che tra i cardi selvatici, si poteva prevedere quali profumi avrebbe avuto il cacio. Quell’alimento era il «pan di via» dei pellegrini. Il formaggio ha gli stessi millenni degli uomini che lo hanno interrogato per far progredire la scienza.
Ora l’Europa in nome della scienza sta per cancellare con un colpo di penna almeno nove secoli di civiltà italica - risale al 1135 l’invenzione del formaggio grana da parte dei monaci cistercensi dell’abbazia di Chiaravalle, nel contado milanese - almeno cinque millenni di evoluzione antropologica, almeno cinquecento anni di indagine scientifica attorno al miracolo della cagliata.
Ci fosse ancora Pantaleone da Confienza - quattrocentesco medico e gran dottore dell’università di Pavia - autore della Summa latticinorum, primo trattato al mondo sulla scienza e la tecnologia casearia, avrebbe un mancamento a sapere che sta per scomparire il formaggio fatto con il latte degli animali. Ma anche Alexander Fleming non ci avrebbe dato la penicillina se non fossero esistiti il Gorgonzola, il Roquefort o il suo scozzese Shropshire: i formaggi erborinati.
Ebbene entro la prossima primavera in Europa ci sarà un «latte» senza mucche, un «formaggio» senza pecore. Per l’Italia, ma non solo, sarà un colpo mortale.
L’Efsa - l’Autorità che nel continente autorizza la commercializzazione degli alimenti e ha, ironia della sorte, sede in una patria alimentare come Parma - sta per dare il via libera al «latte-non latte» prodotto per fermentazione nei laboratori. Il passo in avanti lo si è avuto quando questa importante istituzione della Ue, incurante degli altolà che gli hanno posto i ministri agricoli di 17 Paesi dell’Unione e lo stesso Parlamento, ha deciso di semplificare le procedure autorizzative dei cosiddetti «novel food».
Tradotto, significa che Grana Padano, Parmigiano Reggiano e gli altri 80 formaggi Dop italiani dovranno competere con cagliate prodotte in laboratorio che non hanno mai conosciuto quella magnifica trasformazione dell’erba in latte.
Lo scontro nato come politico sta diventando economico. Il Green deal voluto dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen e che lei affidò al suo vice Frans Timmermans, olandese con il dente avvelenato contro gli allevamenti, in agricoltura è diventato il Farm to Fork che è una dichiarazione di guerra alla zootecnia. La ragione? Si ritiene - a torto perché molti studi confutano questa tesi - che le stalle siano responsabili di emissioni di CO2 e di metano capaci di alterare l’atmosfera.
Si pensava che con l’uscita di scena di Timmermans, rientrato nel suo Paese, la questione fosse stata archiviata. E invece la Von der Leyen, forse per riguadagnare i consensi dei Verdi che le consentono di restare al vertice dell’Europa, ha rilanciato il Green deal nella sua totalità.
Oltre che contro le auto, è ripresa la lotta contro la zootecnia - serve a indebolire complessivamente il comparto agricolo a cui si vogliono tagliare anche i fondi - sostenuta da Teresa Ribera, già vicepresidente del Consiglio spagnolo, commissaria in pectore al Green deal e icona del mondo della sinistra verde. Stavolta, però, la presidente della Commissione Ue passa dalla porta laterale: affida all’Efsa il compito di promuovere i «novel food» alternativi alla carne. Se ne sono accorti nelle scorse settimane Filiera Italia e Coldiretti che, con il presidente Ettore Prandini e altre 13 organizzazioni agricole di otto diversi Paesi, hanno scritto al capo dell’Efsa Bernhard Url e Sandra Gallina, direttore generale salute e sicurezza alimentare di Bruxelles, una lettera di messa in mora ricordando: «Per autorizzare i cibi creati in laboratorio mediante replicazione cellulare 17 governi e il Parlamento europeo hanno chiesto che si segua il principio di precauzione: trial clinici, esami scientifici e iter autorizzativo eguale ai farmaci».
L’Efsa non ha risposto e ora in Europa si rischia la rivolta. Che a Bruxelles l’intento sia di chiudere tutte le stalle è evidente: la Commissione ha bocciato una proposta di legge di Viktor Orbán che vuole vietare - come si è già fatto in Italia con la legge Lollobrigida-Schillaci- la produzione e commercializzazione di carne sintetica e la Corte di giustizia ha sancito che prodotti vegetali che imitano la carne possono legittimamente chiamarsi carne.
L’Efsa ha già sul tavolo la domanda di autorizzazione - il via libera è atteso il prossimo marzo - del foie gras prodotto in laboratorio. Si comincia da lì perché pochi sono disposti a difendere la pratica del gavage, l’ingozzamento forzato delle oche, ma il passo successivo sarà l’autorizzazione del latte senza vacche e dunque la pietra tombale che cala sui nostri formaggi.
La ragione è politica - azzerare le stalle - ma anche tecnica: produrre latte in laboratorio è più facile e i protocolli autorizzativi sono già stati adottati da quattro Stati fuori dall’Ue: Singapore, Israele, Usa e Canada. Non a caso la lettera di protesta verso l’Efsa è stata firmata - ed è la prima volta che accade - da Cesare Baldrighi, presidente di Origin, che riunisce praticamente tutte le Dop italiane, da Renato Zaghini, presidente del Consorzio Grana Padano, e da Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano.
Per l’Italia è un danno potenziale durissimo: la filiera lattiero casearia vale 19 miliardi (l’Italia produce 12,7 milioni di tonnellate di latte da 24 mila allevamenti) e i nostri formaggi sono tra i più venduti nel mondo. La mozzarella di bufala è esportata al 40 per cento della produzione pari a quasi 56 mila tonnellate, il Provolone che arriva a settemila tonnellate viene venduto all’estero per oltre il 38 per cento, quasi metà dei 5,2 milioni di forme di Gorgonzola vanno oltreconfine. I campioni sono il Grana Padano (un fatturato da 3,7 miliardi di euro, di cui 1,9 all’estero, con 5,2 milioni di forme prodotte da 142 caseifici) a cui si aggiunge il Trentingrana (63,4 milioni di fatturato per 95 mila forme) e il Parmigiano Reggiano (oltre 4 milioni di forme per 3,1 miliardi di fatturato di cui 1,34 dall’export).
All’Europa questi numeri non interessano anche se nel continente si producono ogni anno 155 milioni di tonnellate di latte con Francia, Germania, Polonia, Paesi Bassi, Italia e Spagna – questo è l’ordine di classifica – che coprono il 70 per cento della produzione. L’Efsa, inoltre, sta per accogliere la richiesta della Remilk, la multinazionale israeliana che ha brevettato l’uso della proteina beta-lattoglobulina.
Si tratta di prendere il Dna delle vacche e innestarlo in batteri geneticamente modificati che vengono fatti fermentare più o meno come si fa con la birra. Per il processo occorre tanta acqua e tanta energia, ma all’Europa green piacciono tanto al punto che Remilk - multinazionale israeliana guidata da Aviv Wolf e Ori Cohavi - ha ricevuto finanziamenti per 120 milioni di dollari per impiantare in Danimarca a Kalundborg lo stabilimento più grande al mondo (70 mila metri quadri) per la fermentazione di precisione.
In Canada, in Israele e a Singapore, Remilk ha già avuto il via libera alla vendita anche di yogurt e di formaggi. Peraltro in Olanda e Danimarca l’Ue ha finanziato le start up che sviluppano proteine alternative alla carne. L’olandese Vivici - partecipata dalla neozelandese Finterra - produce presso il Biotech Campus Delft e già vende proteine simil casearie a chi sintetizza insulina, enzimi per pane e formaggio. Il ceo Stephan van Sint Fiet sostiene che «Vivici sarà un leader della fermentazione di precisione che contribuirà a un sistema alimentare a prova di futuro perché l’Europa è la terra promessa del novel food».
Restando sul latte, è arrivata in Europa anche l’industrializzazione del brevetto di Nurit Argov-Argaman dell’Università di Gerusalemme, che ha prodotto latte umano dall’estrazione di cellule mammarie di donne che si sono sottoposte a mastectomia estetica. La sua Wilik è sostenuta dalla Danone che produce latte per l’infanzia con i marchi Mellin, Milupa, Aptamil. La stessa tecnologia è stata sviluppata anche in California dove Leila Strickland e Michelle Egger hanno fondato Biomiq. Ma dall’Europa arriva un altro «latte Frankenstein» destinato ai bambini: è quello estratto dall’Escheria coli, batterio fermentato per estrarre gli oligosaccaridi del latte umano. Sempre all’Efsa stanno per bussare la Ivy Farm Technologies, azienda nata dall’Università di Oxford, la Meatly e la Respect Farmes, quest’ultima sostenuta da fondi comunitari, impegnate nella produzione di carne da laboratorio. Il processo è più complesso di quello del latte: si tratta di far fermentare cellule di muscolo in enormi bioreattori, di stabilizzarle con antibiotici, di mantenerle con un brodo di coltura estratto dai feti delle vacche o di altri animali. Sull’impatto ambientale di questi bioreattori ci sono molti dubbi.
La Meatly ha già ricevuto l’autorizzazione alla commercializzazione della carne coltivata in Gran Bretagna. Difficilmente l’Efsa di fronte a una richiesta direbbe no. L’avere semplificato le procedure di autorizzazione è di fatto un annuncio che stanno per arrivare in tavola questi tipi di cibo. Per l’Italia sarebbe un ulteriore danno. La filiera della carne fresca (oltre quelle vaccine, di maiali, conigli, ovini e pollame) vale circa 10 miliardi di euro e 9,2 miliardi è il fatturato dei salumi (ne mangiamo circa 17 chili a testa) di cui 2,2 dall’export che ha un trend crescente (più 8,7 per cento). Cosa non si fa per il Green deal. n
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