Le mille vite di Mastella: "Sono l'Alberto Sordi della politica italiana"
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Le mille vite di Mastella: "Sono l'Alberto Sordi della politica italiana"

Sette partiti fondati, giravolte, inchieste e oggi sindaco di Benevento con oltre il 60 per cento dei consensi. Intervista a Clemente Mastella.

Tramontare? «Ritornare». A Benevento? «In provincia. È la provincia la mia Itaca». Mastella è l’eterno ritorno italiano. È come il caldo, il grande esodo, gli scioperi. Non crede di essere il passato che non passa? «Anche nella moda ci sono capi chiamati “continuativi” che non vanno mai in saldo. E nella letteratura nessuno può chiedere ad Andrea Camilleri di non scrivere». Si sente già un classico? «Faccio parte del canone. In ogni italiano c’è un po’ di Mastella».

La politica ha rottamato Clemente Mastella a ex onorevole, la democrazia l’ha promosso a onorevole sindaco. E infatti, con il 62,8 per cento dei consensi, Mastella è stato eletto al ballottaggio alla guida di Benevento, è risorto come Zarathustra, l’essere che si credeva un «ponte tra la transizione e il tramonto», il superuomo che non finiva ma rinasceva.

Si è ricandidato perché non riesce a eclissare? «Perché il congedo non dipende dalla biologia. Giuseppe Verdi compose le sue opere più belle a 80 anni. Alfred Hitchock considerava la pensione un’idea orribile. Mi sono candidato perché non avevo niente e volevo giocarmi tutto».

A 69 anni, Mastella dunque ringiovanisce con le elezioni che dice «mi allungano la vita», vuole fondare un movimento («sul modello basco») potrebbe ritornare a sinistra («perché per Matteo Renzi sono tra i primi tre italiani a capire di politica»). Renzi la corteggia? «Lui mi stima. Io lo stimo». Torna quindi a sinistra? «Non mi vedo in questo centrodestra». Nel Pd non va di moda Telemaco? «La rottamazione è una stronzata. Ma davvero pensa che mi abbiano votato solo i vecchi?».

Di sicuro a Benevento i giovani hanno preferito il mondo di ieri di Mastella rispetto a quello di domani di Beppe Grillo e del M5S. Mastella ha quindi stupito con il bianco e nero. Campagna elettorale casa per casa, liste civiche, zero stipendio, quote rosa, tante carezze agli avversari: «Ho offerto il ruolo d’assessore a una donna di sinistra. Era valida e non solo di sinistra».

Sta indossando un’altra delle sue maschere? «Sono entrato nella storia, ora voglio entrare nei cuori». La sua non è la storia del familismo e del clientelismo italiano? «Non li rinnego ma li esibisco. La raccomandazione al sud è servita a salvare la democrazia. E non la considero immorale ma pratica onesta se segnala un talento e una virtù». Quanti ne ha raccomandati? «Non si contano ma si ricordano. Portantini, invalidi, funzionari pubblici… Ma ho sempre rifiutato di raccomandare i medici». Il clientelismo è il guasto del Sud. Oggi in ogni città del Mezzogiorno c’è uno stregone come Mastella. Non sono tutti suoi epigoni? «Sono stato un missionario in un ospedale da campo. Ho solo esercitato la provvidenza». Fa ancora segreteria politica? «Ogni domenica mattina. Per me è come il sacramento della confessione. A volte mi limito semplicemente ad ascoltare». E infatti a palazzo Mosti, che è la sede del municipio, c’è già l’umanità in anticamera, il popolo sospeso che scommette nell’aiuto, la processione delle speranze, i padri che consegnano i figli a Mastella che da sindaco promette di preparare di nuovo l’età felice.

Nel suo ufficio Mastella ragiona così sull’arrivo «dell’amico Sergio Mattarella», ha già chiamato il direttore d’orchestra e baronetto Antonio Pappano per avere la sua bacchetta («è di origine beneventana, anche se fa l’inglese») chatta con i suoi amici calciatori («Del Piero, Cannavaro. Mentre con Maradona c’è affetto vero») è pronto a far esibire Anna e Gigi («D’Alessio e Tatangelo») dopo aver riportato i Cugini di Campagna che hanno festeggiato il suo insediamento sulle note di “Anima mia” tra petardi e sangria.

La verità è che Mastella non è una categoria della politica ma una disposizione nazionale: è la via allo sviluppo attraverso il sorriso e la pacca sulla spalla, è l’idea generosa e meridionale che l’amicizia sia più di un matrimonio e che tradirla sia il peggiore degli adulteri. Mastella è il fratello di Alberto Sordi, lo zio dell’italiano che non vive ma sopravvive, che si sbraccia e che pasticcia, che si perde ma si ritrova. La sua è la politica del caciocavallo e dei torroncini da donare, i “mastellini” come passaporto internazionale, è la diplomazia della tavola e non dei tavoli.

«E però i miei “mastellini” piacevano anche agli intellettuali come Eugenio Scalfari. Un giorno mi chiamò e imbarazzato mi chiese se ne potesse avere degli altri». È ancora amico di Carlo De Benedetti? «Mi considerava un’intelligenza viva. Pranzavamo insieme prima che il settimanale L’Espresso mi sbattesse in copertina per quel volo di Stato utilizzato per il Gp di Monza. Fu sgradevole e falso. Da allora i nostri rapporti si sono raffreddati». Diego Della Valle? «È un fratello. Ci sentiamo tre volte al giorno». È vero che da ragazzo possedesse un solo paio di scarpe? «Uno solo». Per lo scrittore Andrè Gide gli uomini si riconoscono più dalle calzature che dai tratti del viso. «Le scarpe sono l’unica cosa che mi legano a Marco Travaglio. Anche lui porta le Hoogan come me». Non ha perso una causa giudiziaria contro di lui? «Ho pareggiato. La prima volta sono stato condannato a risarcirgli 10 mila euro. La seconda è stato condannato Travaglio a risarcire me per 10 mila euro. Io ho saldato interamente. Travaglio mi ha restituito solo la metà». È la guida spirituale di tutti i peones? «Ero peones ma pur sempre il capo dei peones». L’ha sostituita Denis Verdini? «Il suo partito durerà una stagione. Mastella rimane».

Ed è forse vero se pure Beppe Grillo utilizza Mastella come termine di paragone quando vuole rimpicciolire e avvertirci sulle ambizioni di Luigi Di Maio e urla: «Attenti! Diventerà come Mastella». Di Mastella si conoscono le vesciche alle mani che ha mostrato in televisione da Lucia Annunziata, la torta tirata in faccia al Bagaglino, i suoi party e i suoi partiti, il suo girovita e le sue giravolte. I beneventani non hanno dunque solo eletto Mastella ma anche la sua memoria, e quindi gli aiuti di Stato, le feste dell’amicizia di Telese organizzate da Mastella, l’università che ha voluto Mastella, la scuola allievi-carabinieri costruita quando c’era Mastella, perfino l’autostrada Caianello-Benevento chiamata la “Mastellese” che non è un’invenzione del folklore, come la famosa piscina della sua villa (che non è) a forma di cozza, ma una strada autentica. «Ho ridisegnato la viabilità del Sannio. Ben quattro strade portano a Ceppaloni» rivendica Mastella come fosse un ingegnere.

Ceppaloni è diventato «il paese di Mastella». Ha lottizzato anche la geografia? «È un paese di tremila abitanti. Per Massimo D’Alema è una piccola svizzera». D’Alema gira il mondo mentre lei torna sempre a Ceppaloni…«D’Alema non ha perso il partito, ma ha perso Gallipoli. Ha smarrito la sua piccola patria». La provincia non è il suo limite proprio come la famiglia che condanna i democristiani e che imprigiona lei nel pittoresco? «E invece per me la provincia è la crosta della vita, è un modo per azzannare il mondo. Sono le piccole e umili cose. In politica mi hanno sempre considerato un cafone, ma sono i cafoni che mi resuscitano sempre».

Angelino Alfano non sta rischiando per la famiglia il Viminale? «Gli ho espresso solidarietà. Lo stanno colpendo negli affetti come hanno fatto con me. La famiglia può essere la causa di qualche imprudenza ma non si può disconoscere. Anche a Silvio Berlusconi, dopo cerchi e rettangoli, è rimasta solo la famiglia». Ha pensato mai di candidare i suoi figli? «Li ho mandati lontano da qui, in Liguria. Pellegrino, il più grande, voleva fare il sindaco di Ceppaloni ma poi ha rinunciato». Il governatore campano Vincenzo De Luca ha due figli e li vuole entrambi al potere. Meglio di Mastella? «De Luca mi sta simpatico. Ci intendiamo. In un certo senso è un’imitazione di Mastella». Il potere dinastico è un ritardo delle democrazie, si registra solo nel Sud est asiatico e nel meridione d’Italia. «Non è vero. In America esistono le famiglie politiche e le coppie come Sandra e me».

E dunque Mastella non si sa pensare senza la moglie Sandra Lonardo che definisce «il mio Prozac», un po’ come l’artista bulgaro Crhisto che continua a firmare le sue opere con la moglie Jeanne-Claude. E dice che è per Sandra, arrestata, se ha lasciato il governo di Romano Prodi, «ma in realtà il governo non è caduto per causa mia. C’era un’intesa Veltroni-Berlusconi». Ed è ancora a Sandra che la notte racconta i suoi tormenti: «Perché è un argine alle mie paure, anche se in occasione della candidatura a sindaco di Benevento non l’ho ascoltata».

Sarà ricordato per quel governo che ha fatto cadere, per i suoi sette partiti fondati, per il suo nomadismo politico, per le inchieste? «I partiti li fondavo perché ero piccolo e dovevo difendermi dai grandi. È invece chiaro che dietro le inchieste, l’arresto di mia moglie, ci fosse un efficacissimo disegno favorito dai servizi. Me lo ha confermato un agente che lavora negli apparati. E lo ha rivelato anche l’ex direttore de “La Stampa”, Marcello Sorgi. Nel 2008, a Napoli, mentre si trovava al tavolo con altri colleghi, alcuni uomini della Prefettura gli consegnarono 5 chiavette usb. Contenevano tutte le intercettazioni dell’inchiesta che riguardava mia moglie». Ha litigato con Antonio Di Pietro e poi con Luigi De Magistris. Tutti complotti? «Di Pietro ha un cuore. Alcuni mesi fa, a Roma, mi ha fermato e chiesto scusa. De Magistris è diverso. Nel suo viso c’è la ferocia. Tutte le sue inchieste da pm erano inconsistenti. Da ministro ho tentato di riformare la giustizia, limitare le barbarie delle intercettazioni. Lo hanno riconosciuto anche grandi magistrati come Piercamillo Davigo e Gherardo Colombo. Oggi De Magistris è invece alla guida del meridionalismo straccione».

Non erano composte da straccioni anche le sue truppe “mastellate”? «Servivano a fare vincere Ciriaco De Mita ai congressi. Erano le partite iva dell’applauso. Una volta li costrinsi ad applaudire De Mita per 24 minuti». De Mita ha definito la sua inquietudine politica “un caso umano”… «Non ha mai sopportato che pure Mastella potesse avere una cattedra. Non sono stato solo il suo portavoce. Fu grazie a me se la Dc scoprì la carne e si aprì al mondo dello spettacolo. Per colpa sua ho litigato con Indro Montanelli che mi mandò a quel paese. Gli promise un’intervista poi la diede a Eugenio Scalfari. Ma a De Mita voglio ancora bene». Le piace Filippo Sensi come portavoce di Renzi? «Io riducevo in battute i pensieri di De Mita. Oggi Renzi sintetizza in tweet le idee di Sensi». Dopo Benevento? «Mi fermo». Cambierà opinione anche questa volta? «Posso fondare il partito dei nonni». Moriremo democristiani? «Continueremo a essere mastelliani».

 

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Carmelo Caruso