Che sia pace vera o finta le polemiche nella Lega non fanno bene al cdx
Finisce in un clima apparentemente sereno tra Salvini e Giorgetti l'atteso Consiglio Federale della Lega. Ma, al di là della forma, la sostanza è che queste divisioni non fanno bene alla coalizione intera
Lega: sarà vera tregua? Formalmente la resa dei conti è solo rinviata, a giudicare da quanto filtra dal consiglio federale della Lega. Anzi, sembra che nel primo round l'abbia spuntata Salvini, che a quanto appare è riuscito a ribadire la sua leadership: "ascolto tutti e poi decido io, noi alternativi alla sinistra". Cinquanta minuti di intervento, quelli del segretario leghista, dalle tasse al lavoro, alle bordate contro il reddito di cittadinanza, fino al neogruppo sovranista da portare in Europa, perché "il Ppe è subalterno alla sinistra". Con i colonnelli del partito – Giorgetti compreso – che riconfermano la fiducia "nell'attività, nella visione e nella strategia del leader".
Tutto rientrato? Presto per dirlo. Difficile che i mal di pancia siano evaporati nel giro di un'ora, vista la tensione di cui era carica l'aria. La battaglia è solo rinviata di un mese, fino all'assemblea programmatica di dicembre, cui parteciperanno anche sindaci e governatori. Fino ad allora, è possibile che assisteremo a uno scenario più simile a un film di Bud Spencer che a una romantica commedia con Meryl Streep, per usare la terminologia giorgettiana. Eppure, dietro la parvenza di armonia, dietro le quinte nessuno arretra: né i sovranisti, né i governisti. sicuramente nell'assemblea leghista si saranno sprecati i commenti sul "patto della pizza", la foto intorno alla margherita che vedeva attovagliati insieme Giancarlo Giorgetti e Luigi Di Maio. Un asse gastronomico-politico in salsa governista che aggiunge una buona dose di malumori nelle falangi salviniane, ancora scottate dalle parole consegnate a Bruno Vespa dal Ministro dello Sviluppo Economico. Il pensiero di Giorgetti sull'europeismo "incompiuto" di Salvini, offende i fedelissimi del Capitano, tanto più che l'attacco è stato sferrato a mezzo stampa. Poco prima del consiglio federale "della pacificazione provvisoria" Giorgetti avrebbe confidato a un amico senatore: "Ho detto quelle cose per il bene della Lega. Un gruppo sovranista europeo è destinato ad essere marginale". E la spaccatura, nonostante la fiducia di oggi, resta.
Come nei film sulle guerre atomiche, Salvini non ha voluto porgere l'altra guancia al ministro "draghiano", anzi, ha alzato l'asticella della tensione sganciando due missili balistici: punto primo, una grande kermesse sul programma entro fine anno, allargata a governatori e sindaci. Non proprio un congresso, ma quasi, al fine di ribadire la sua linea e la sua leadership. Punto secondo, una videoconferenza con il premier ungherese Orban e quello polacco Morawiecki per accelerare sul gruppo unico sovranista. In direzione ostinata e contraria rispetto agli auspici di Giorgetti. In questa atmosfera da rissa da bar si è celebrato il gran consiglio del Carroccio: l'idea era quella di stanare la fazione draghiana e confrontarsi apertamente nel partito sulle due visioni del mondo. Ma ricomporre i pezzi sembra essere più complesso del previsto.
Non è ancora chiaro se la scaramuccia leghista rientrerà senza contraccolpi, o potrà degenerare in guerra civile. Una cosa è certa: un partito in ebollizione permanente non serve a nessuno. Non serve ai leghisti, non serve alla coalizione del centrodestra, non serve per la stabilità del governo, e in definitiva non serve al Paese. Gli unici a stropicciarsi gli occhi dalla meraviglia sono i maggiorenti del Pd, che con Enrico Letta sottolineano le divisioni della Lega: proprio loro, che annegano nella lotta correntizia da anni, campioni olimpici della decapitazione dei segretari.
La differenza è che il Pd governa da dieci anni senza vincere le elezioni. La Lega e il centrodestra, invece, sono da anni maggioranza nel Paese, e rischiano di sgambettarsi da soli proprio all'ultimo miglio. Questo dovrebbe essere il momento della responsabilità, non delle scazzottate. E se i malumori non rientrano esiste un alto rischio di suicidarsi a pochi passi dal traguardo elettorale, deludendo una vasta platea di elettori che sogna un ritorno fisiologico alla normalità democratica, dopo anni di governi tecnico-politici imposti dall'alto. Dunque, è vero che si allarga drammaticamente la distanza nella Lega tra ala sovranista e governista. Ma per dirla alla Luca Zaia, si vola soltanto con due ali: trovare un compromesso è obbligatorio.
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