La tristezza di vedere una preside lanciare «l'allarme fascisti», che non c'è
Sta facendo discutere quanto accaduto in un liceo fiorentino giorni fa e da cui la sinistra ha rilanciato l'ennesima allerta fascisti, con la complicità della dirigente della scuola e della sua lettera agli studenti
C’è poco da fare. Ogni occasione è buona per suonare l’allarme fascismo. Da ultimo, il fattaccio certamente deprecabile avvenuto al liceo Michelangelo di Firenze, dove alcuni ragazzi del movimento di destra Azione Studentesca hanno preso a calci e pugni quelli di sinistra. Certe cose vanno condannate duramente, e i responsabili puniti senza sconti. Siamo d’accordo. Ma approfittare di questo fatto per lanciare appelli alla Resistenza contro il rigurgito fascista, questo no.
Eppure i proclami partigiani sono subito partiti, dapprima con l’etichettatura spiccia del sindaco Nardella, che ha parlato di “atto squadristico”. E poi tramite una lettera-manifesto firmata da Annalisa Savino, la preside di un altro liceo fiorentino, il Da Vinci: “Il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone – scrive - È nato ai bordi di un marciapiede qualunquecon la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a sé stessa”. Non solo, la suddetta preside aggiunge una postilla politica significativa: “Chi decanta il valore delle frontiere va chiamato con il suo nome”. Un’equazione limpida, su carta intestata della scuola pubblica: difendere le frontiere uguale fascismo.
Così è davvero troppo. Il Ministro Valditara stamattina ha scelto di intervenire, per condannare una lettera “impropria”: “Non compete a una preside lanciare messaggi di questo tipo: in Italia non c'è alcuna deriva violenta e autoritaria, non c'è alcun pericolo fascista, difendere le frontiere non ha nulla a che vedere con il nazismo. Sono iniziative strumentali che esprimono una politicizzazione che auspico che non abbia più posto nelle scuole”.
Il ministro effettivamente centra il problema. Ciò che è accaduto in quel liceo è grave e va perseguito. Ma approfittare dell’accaduto per gridare al regime, al ritorno delle armate delle tenebre in camicia nera, significa strumentalizzare politicamente i ragazzi: tutti i ragazzi, gli aggressori e gli aggrediti. I quali diventano pedine manovrate a piacimento per fini squisitamente politici. La reazione scomposta dei dirigenti scolastici ci fa capire che in Italia restano ancora in piedi, granitiche, le casematte culturali di certa sinistra vetero-marxista. Le ultime ridotte intellettuali che passano da certi licei fino alle grandi kermesse come il Salone del Libro. Chi non si allinea è fascista in automatico.
Un clima di semi-terrore ben rappresentato dalle parole di un testimone che insegna sempre al Liceo Michelangelo, il quale intervistato da “La Nazione”, racconta che ad accendere la miccia dello scontro sarebbero stati in realtà gli studenti dei collettivi di sinistra. Perché questo docente non è intervenuto? Per gli stessi motivi per cui oggi chiede di restare anonimo: “Questa è una scuola molto politicizzata, vorrei continuare a lavorarci senza problemi”. Insomma, chi accetta la vulgata antifascista è in regola: chi parla è perduto. Se questo è il senso critico coltivato nelle scuole, povere le nuove generazioni.