«L'interesse nazionale è una questione trasversale»
Alla presentazione di FormarsiNAzione, voluta dalla Fondazione Farefuturo il senatore Adolfo Urso commenta la situazione della politica estera italiana
Lunedì 26, a mezzogiorno, alla sala Nassyria del Senato, sarà presentato il corso Web gratuito della Fondazione Farefuturo: FormarsiNazione. All'evento potranno partecipare al massimo in 20, ma sarà possibile seguirlo anche online. Saranno presenti, in rappresentanza del corpo docente del corso, Francesco Alberoni, Domenico De Masi, Giulio Tremonti; mentre, per la fondazione, il segretario generale, Mario Ciampi, con il presidente, il senatore Adolfo Urso. Che spiega come nasce e a chi si rivolge l'iniziativa.«Il corso è indirizzato a tutti coloro che ritengono necessario che nel Paese emerga una classe dirigente che abbia chiaro quale sia l'interesse nazionale - e come promuoverlo».
Le lezioni si svolgeranno su Internet, giusto?
«Sì, una volta a settimana sulla piattaforma Zoom, fino a maggio, con un incontro in presenza - speriamo! - a giugno».
E il parco docenti?
«È ampio e comprende tutte personalità di grande caratura. Alcune afferenti all'area di centrodestra, altre distanti da queste posizioni, ma ugualmente portatrici di contributi stimolanti. A riprova di quanto sia importante la competenza, da cui qualcuno pensava si potesse prescindere».
A chi allude?
«Mi riferisco al principio per cui "uno vale uno", proclamato dal Movimento 5 stelle. Che però oggi non prende una decisione senza rivolgersi a una montagna di esperti».
I prof, a giugno, erano stati firmatari del Rapporto sull'interesse nazionale. Lì, lei notava che pur essendo già consapevoli di trovarci al tramonto di un'era, con la pandemia, siamo stati «catapultati» in una nuova epoca. Crede che, più che governare noi le trasformazioni, le trasformazioni governino noi?
«Questo timore c'è, perché il vascello Italia non ha ben chiara la rotta dell'interesse nazionale. Il coronavirus e il lockdown rappresentano un'accelerazione della storia, da tre punti di vista».
Quali?
«L'aspetto sociale, economico e produttivo, anzitutto. Pensi solo al fenomeno dello smart working: sarebbe arrivato lo stesso entro qualche anno, ma ci siamo ritrovati a doverlo gestire all'improvviso».
Con che conseguenze?
«Che, ad esempio, Paesi dotati di infrastrutture digitali migliori hanno potuto metterlo in atto più agevolmente di noi».
Il secondo aspetto dell'accelerazione della storia qual è?
«In molti dicevamo che bisognava sospendere il Patto di stabilità, mettere in comune il debito pubblico; in molti lamentavamo l'assenza di una politica industriale europea».
E allora?
«Anche questo doveva avvenire nell'arco di qualche decennio. E invece, causa Covid, l'Ue ha dovuto muoversi in pochi giorni».
Il terzo punto, infine?
«È ancora più evidente: il conflitto globale tra Cina e resto del mondo».
La Cina contro tutti?
«Pensi alla questione dell'esclusione della tecnologia cinese dal 5G, o all'attenzione agli investimenti predatori cinesi in Occidente».
Dov'è l'accelerazione?
«In tanti osservavamo che era anacronistica una Via della seta. Alla fine, persino l'India di Modi s'è dovuta schierare con gli Stati Uniti, per arginare la Cina».
E l'Italia, in questo scenario, come si colloca?
«È al crocevia tra i nuovi confini e i nuovi conflitti. Fermo restando che confini e conflitti sono categorie da ripensare: la guerra cibernetica, ad esempio, è un nuovo tipo di conflitto e, al contempo, mette in discussione la vecchia idea del confine fisico».
Perciò, c'è bisogno di una classe dirigente capace di intercettare questi cambiamenti?
«Bisogna ridefinire i nostri interessi, le coordinate della nostra politica economica e industriale. Insomma, il nostro essere nazione».