​Francesco Lollobrigida, Ministro Agricoltura e Sovranità alimentare
Francesco Lollobrigida, Ministro Agricoltura e Sovranità alimentare
Politica

Francesco Lollobrigida: «L’agricoltura è il primo motore del Made in Italy»

La valorizzazione del settore, gli aiuti a chi ci lavora per affrontare le emergenze e il ruolo della nazione in Europa. Parla a Panorama il Ministro della sovranità alimentare: «La battaglia nella Ue è solo all’inizio, la Politica comunitaria del comparto sia alleata di chi coltiva. Grazie al governo Meloni l’agricoltura e’ tornata centrale anche in Europa».


Lo scorso febbraio, mentre i trattori marciavano su Bruxelles dopo aver paralizzato Germania, Francia Spagna e Paesi Bassi, il ministro per l’Agricoltura e la Sovranità alimentare presentò una bozza di riforma della Pac, la politica comunitaria del settore. Bisognava mettere da parte l’ideologia green e dare spazio alla centralità agricola. Da lì l’Italia ha costruito un prestigio che non ha avuto in altri periodi e torna a essere decisiva in Europa. Panorama ne parla con il protagonista di questa nuova stagione: Francesco Lollobrgida, tra i fondatori di Fratelli d’Italia, il ministro che ha difeso campi e prodotti nazionali, proponendo alla Ue il nostro modello agricolo.

Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni

«Con il governo italiano, guidato da Giorgia Meloni» sottolinea il ministro «l’agricoltura e la pesca hanno riacquistato valore e centralità. I nostri agricoltori sono i primi amici dell’ambiente e sentinelle del territorio, in grado di produrre eccellenze che collocano il settore agroalimentare al centro della strategia di sviluppo economico e sociale della nazione.
Sono sicuro che con Giorgia Meloni si potrà finalmente cambiare l’Europa».

Lei ha rivendicato la centralità dell’agricoltura in Europa. In quale modo?

Vogliamo recuperare lo spirito dei Trattati di Roma del 1957, dove gli agricoltori rappresentavano un pilastro della sicurezza alimentare e della manutenzione del territorio. La Pac disegnata dai nostri padri fondatori era nata come uno strumento diretto a incentivare la produzione e non a limitarla, garantendo reddito ai coltivatori anche nelle aree più difficili.

Il Green deal però non va in quella direzione…

Purtroppo, negli ultimi anni questo modello è stato messo in discussione da un approccio ambientalista ideologico: il Green deal è stato lanciato dalla Commissione a fine 2020, con una sensibilità spesso lontana dal mondo agricolo, tanto da apparire troppe volte penalizzante per coltivatori e pescatori.

L’Italia si è mossa in direzione opposta. È un successo?

Abbiamo voluto ribaltare questo assunto. Gli agricoltori non sono i nemici dell’ambiente; ma sono i primi «bio-regolatori» del territorio e, come tali, fondamentali per il futuro del pianeta. Grazie alla chiara posizione di Giorgia Meloni all’ultimo Consiglio europeo, è stato possibile mettere in discussione per la prima volta la rigida impalcatura del Green deal, arrivando a varare in tempi rapidissimi una prima importante revisione dei regolamenti della Pac. L’Italia ha ottenuto un taglio alla burocrazia, attraverso la semplificazione delle norme di condizionalità ambientale e l’esenzione dei controlli per le piccole aziende sotto i 10 ettari.

Si parte da qui per la nuova Pac: meno ideologia e più produzione?

Abbiamo gettato le basi per la futura Politica agricola comune che deve rimettere al centro dell’attenzione l’impresa agricola, valorizzare il lavoro dell’agricoltore e del pescatore come sentinella del territorio e protagonista principale dello sviluppo delle aree rurali dell’Unione. Per far questo, occorre stanziare adeguate risorse finanziarie, semplificare gli interventi, rafforzare gli strumenti di gestione delle crisi.

Al di là dell’azione a Bruxelles, però, serve anche un intervento nazionale…

Come governo abbiamo fatto un importante lavoro a livello nazionale. Abbiamo raddoppiato i fondi del Pnrr per l’agricoltura, portandoli a oltre 6,5 miliardi di euro. Un risultato mai visto in precedenza nel settore. Abbiamo 360 milioni di euro per il sostegno alle filiere, 800 milioni per le emergenze e i cambiamenti climatici, 416 milioni per sostenere gli investimenti innovativi, 100 milioni per la promozione delle produzioni agricole, 1,6 miliardi per favorire l’acceso al credito. Siamo intervenuti con velocità e intensità sulle maggiori emergenze, dal granchio blu alla peste suina africana, ai fenomeni legati a siccità o alluvioni. E siamo consapevoli che è necessario sostituire la cultura dell’emergenza con quella della programmazione.

Sono sufficienti le misure di sostegno contenute nel decreto Agricoltura?

Il decreto è uno strumento fondamentale che contiene specifiche misure dirette al sostegno e allo sviluppo del settore. Sono 410 milioni di euro per finanziare la moratoria di un anno per i debiti contratti dalle imprese agricole e della pesca, gli sgravi fiscali per le aziende delle zone alluvionate, i contributi a filiere specifiche come quella cerealicola, vitivinicola e del kiwi e il sostegno al reddito per gli agricoltori.

Molti hanno storto il naso sul concetto di sovranità alimentare. Perché?

Il concetto di «sovranità alimentare», che abbiamo voluto inserire nella denominazione del ministero, è divenuto un principio cardine che ha guidato le nostre scelte e le azioni di governo, sia a livello nazionale sia internazionale, e che merita di essere inserito in Costituzione. Dobbiamo avere la capacità di importare meno e produrre più entro i nostri confini. Un’Italia protagonista in Europa che persegue il principio della sovranità alimentare e tutela i prodotti simbolo dell’identità nazionale e che dice no a qualunque etichettatura fuorviante come quella del Nutriscore.

Anche sul «no alle bistecche sintetiche» e ai cibi di laboratorio l’Italia ha assunto una leadership?

La sicurezza alimentare è una priorità strategica del governo. In tale contesto, la ricerca può giocare un ruolo fondamentale. L’innovazione costituisce un elemento imprescindibile - non per produrre cibo in laboratorio sui cui ci siamo opposti fermamente, tanto da essere la prima nazione al mondo a vietarlo -, ma per migliorare la competitività delle filiere agricole. Il nostro obiettivo è difendere le produzioni di cibo che legano l’uomo alla propria terra, i posti di lavoro, la salute e non permettere che ci siano monopoli nelle mani di pochi.

Un’altra battaglia è quella sull’etichetta d’origine. A che punto siamo?

Dobbiamo tutelare le eccellenze agroalimentari italiane anche attraverso controlli rafforzati lungo tutta la filiera, per contrastare l’«Italian sounding» e le pratiche commerciali sleali. Voglio ringraziare le forze dell’ordine e dell’ispettorato della Tutela della qualità e della repressione frodi, delle Capitanerie di porto, Agea e Agenzia delle dogane. Solo nell’ultimo trimestre sono state ispezionate 450 mila tonnellate di merci, ma solo lo 0,12 per cento è stato sequestrato a dimostrazione che i prodotti italiani sono di qualità elevatissima. Per il governo l’agricoltura è il punto di forza del Made in Italy e per questo al centro delle azioni di internazionalizzazione e di promozione all’estero. La candidatura della Cucina italiana quale patrimonio immateriale dell’Unesco riconsegna all’agroalimentare italiano il ruolo da protagonista che gli spetta. Abbiamo dimostrato con i fatti che crediamo in chi coltiva, in chi pesca, in chi trasforma e anche nei cuochi, ambasciatori delle nostre eccellenze nel mondo.

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Carlo Cambi

Toscano di nascita e di formazione (economico-giuridica) diventa giornalista professionista a 23 anni. Percorre tutto il cursus honorum a Repubblica fino a dirigere le pagine di economia. Nel 1997 fonda I Viaggi di Repubblica - primo e unico settimanale di turismo - che dirige fino al 2005 quando sceglie di vivere a Macerata insegnando marketing del territorio e incontra Maurizio Belpietro col quale stabilisce un sodalizio umano e professionale. Autore radiofonico e televisivo continua a occuparsi di economia ed enogastronomia. Ha scritto una trentina di libri. Il suo best seller? Il Mangiarozzo.

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