Il Mattarella bis tra Washington e Parigi
La rielezione del capo dello Stato non è esattamente quello che gli americani si aspettavano
La riconferma di Sergio Mattarella al Quirinale non può non essere letta anche attraverso le lenti della politica internazionale. Questa elezione avrà infatti prevedibilmente un impatto notevole sulla percezione dell’Italia all’estero. Innanzitutto poniamo sul tavolo un tema ovvio: l’autodissoluzione della classe politica nostrana non è certo un bello spettacolo da dare davanti alle cancellerie internazionali. Da una parte, un centrodestra che si incarta e resta vittima di boicottaggi interni; dall’altra, un centrosinistra senza proposte e fissato esclusivamente sui veti. Due schieramenti sfilacciati che – alla prova dei fatti – non sono riusciti a individuare un’alternativa concreta come successore del presidente uscente. L’immagine che ne emerge all’estero è quindi deleteria, con conseguenze non poco negative sulla credibilità della nostra politica davanti alla platea internazionale.
Un secondo punto da considerare è poi il rapporto con gli Stati Uniti. Durante questa frenetica settimana, l’atlantismo è stato tirato in ballo dal centrosinistra per azzoppare la potenziale candidatura quirinalizia di Franco Frattini, accusato di essere filorusso. “Abbiamo bisogno di un profilo atlantista e che rassicuri i mercati. Quando parlo di atlantismo mi riferisco a quello che sta accadendo fra Ucraina e Russia”, tuonò per esempio il segretario del Pd, Enrico Letta. Ora, che al Colle debba sedere un atlantista è senz’altro un principio giusto, soprattutto in una fase storica in cui soffiano venti di guerra dall’Ucraina e la Cina si sta facendo sempre più aggressiva dal punto di vista militare ed economico. Il paradosso semmai è che quelle parole siano arrivate da Letta che, poco prima, aveva proposto la candidatura al Colle di Andrea Riccardi: profilo noto per essere favorevole a una distensione tra l’Occidente e la Repubblica popolare cinese. Un nome, tra l’altro, proposto in prima battuta da Goffredo Bettini a metà gennaio: quel Bettini che non è esattamente famoso per essere un fautore degli Stati Uniti.
Tralasciando l’atlantismo a fasi alterne di Letta, c’è da chiedersi quanto la riconferma di Mattarella possa definirsi una mossa realmente gradita a Washington. C’è indubbiamente una certa vulgata che ha spesso dipinto l’attuale capo dello Stato come saldamente atlantista. E lo stesso centrosinistra ha sposato tale narrazione in questi giorni. La domanda tuttavia da porsi è se ciò corrisponda al vero. Ebbene, consentiteci di nutrire qualche dubbio.
Innanzitutto, nel suo settennato, Mattarella si è distinto per essersi ritagliato il ruolo di supremo garante dei rapporti tra Roma e Parigi (soprattutto quando tali rapporti si deteriorarono significativamente ai tempi del governo gialloverde). Mattarella è in tal senso stato la figura che, in Italia, ha di fatto assicurato la firma, alla fine dell’anno scorso, del Trattato del Quirinale: un’intesa che ha legato strettamente Roma a Parigi. Ora, va da sé che un tale orientamento filofrancese difficilmente può essere benvisto dalle parti di Washington. Emmanuel Macron si è distinto in questi anni per il suo atteggiamento critico nei confronti della Nato, mentre la sua recente fuga in avanti sulla crisi ucraina ha irritato profondamente la Casa Bianca. L’attuale presidente francese non era infatti in pessimi rapporti soltanto con Donald Trump: dopo l'arrivo di Joe Biden la situazione è tutt’altro che migliorata (qualcuno si ricorda l’affare dei sottomarini a settembre scorso?). Non solo: storicamente gli americani non si fidano di Macron neppure in Libia, dove ha appoggiato (e forse continua sotterraneamente ad appoggiare) il filorusso Khalifa Haftar. Ne consegue che l’impronta filofrancese, impressa da Mattarella alla nostra politica estera, non possa essere troppo apprezzata a Washington.
Un secondo aspetto da sottolineare è che, durante il settennato di Mattarella, l’Italia si è notevolmente avvicinata alla Cina. Nel maggio del 2017, l’allora premier Paolo Gentiloni disse da Pechino: “L’Italia può essere protagonista in questa grande operazione a cui la Cina tiene molto: per noi è una grande occasione e la mia presenza qui significa quanto la riteniamo importante”. Il riferimento era alla Nuova Via della Seta. Ebbene, due anni dopo, il governo gialloverde siglò – su decisa spinta del Movimento 5 Stelle – il memorandum d’intesa proprio sulla Nuova Via della Seta. E che dire del governo giallorosso, che è stato probabilmente il più filocinese della storia repubblicana? Del resto, va evidenziato che, negli ultimi anni, la stessa Francia si sia sempre mostrata riluttante a seguire gli Stati Uniti nella loro linea dura nei confronti di Pechino (sia con Trump che con Biden). Alla luce di tutto questo, la riconferma del capo dello Stato uscente non sembra una scelta esattamente atlantista. D'altronde, era noto che, nella corsa al Quirinale, gli americani avessero un candidato preferito. E quel candidato non era Sergio Mattarella.
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