Gli ultimi giorni del Movimento 5 Stelle
Lo strappo tra Conte e Di Maio, l'ombra di una scissione dolorosa con l'incognita di cosa sceglierà di fare l'attuale ministro degli Esteri
Questa può essere l’ultima settimana del Movimento 5 Stelle. Perlomeno, così come lo conosciamo. Tra poche ore si riuniranno i big stellati per decidere i destini di Luigi Di Maio. Non è chiaro quale sarà la penitenza con cui verrà sanzionato il ministro degli Esteri, ormai percepito come un corpo estraneo al movimento. Probabilmente non ci sarà un processo, non ci sarà una clamorosa espulsione. Troppo grande la paura dell’avvocato in pochette che il ministro faccia le valigie magari svuotando il movimento. Ma il divorzio sembra nelle cose. “Da oggi Di Maio parla solo a suo nome”, dicono gli uomini di Giuseppe Conte. “Stiamo diventando il partito dell’odio”, rispondono i seguaci di Di Maio. Persino il presidente della Camera Fico si è calato nella rissa, schierandosi con l’avvocato pugliese.
Nel Movimento non si parla più di “se”, ma di “quando” la scissione si consumerà. Sotto le questioni di principio internazionali, i distinguo sulla questione Ucraina, la risoluzione della discordia sugli armamenti (che a quanto pare non verrà neanche presentata) si intuisce il vero motivo dello scontro: la lotta avvelenata per il potere. Prima o poi gli odi personali e le ambizioni di carriera sarebbero necessariamente sfociati nello strappo. Il punto adesso è capire cosa resterà in piedi del Movimento in caso di fuoriuscita di Di Maio.
Solo macerie, o due forze distinte? Si parla di 40 parlamentari pronti a seguirlo, ma potrebbero essere di più: tutti quelli, in sostanza, che rischiano la poltrona se verrà applicata la regola dei due mandati. Cosa dobbiamo aspettarci? Un nuovo partito a trazione meridionale, con base a Pomigliano, che presidi il centro, una specie di nuovo Mastella? Si parla addirittura di un “manifesto politico” dimaiano in corso di scrittura. Di certo si sa che squillano i telefoni tra Di Maio, Beppe Sala e Mara Carfagna, ma quanto ci sia di concreto è ancora nel dubbio. Senza contare che la prateria centrista sembra già molto affollata.
Magari assisteremo a un tentativo estremo di ricucire, con la venuta sulla terra dell’Elevato, Beppe Grillo, che giovedì dovrebbe atterrare a Roma, il quale però negli ultimi giorni sembra essersi irreversibilmente schierato a favore di Giuseppi, avendo messo una pietra tombale sull’enfant prodige di Pomigliano. Vedremo. Certamente si è chiusa una fase del Movimento, che – ammesso sopravviva - dovrà necessariamente cambiare faccia. I principi di purezza di un tempo sono appassiti da anni; la volontà di assumere un tono istituzionale non ha mai preso piede. Hanno prevalso le lotte intestine e gli interessi personali. Il movimento ha preso la forma del recipiente che più gli conveniva, a seconda delle circostanze.
Basti pensare che gli stessi due litiganti hanno avuto numerose parti in commedia negli ultimi mesi: Conte nasce come avvocato del popolo, orgogliosamente populista quando governava con Salvini, orgogliosamente di sinistra quando governava col Pd, e ora di nuovo antisistema all’approssimarsi del voto politico. Di Maio nasce barricadero, lottava per l’impeachment a Mattarella indossando il gilet giallo: adesso è più europeista lui della Von der Leyen.
Sta di fatto che se il Movimento esplode, le macerie ricadranno su tutto il quadro politico. Sul governo anzitutto, anche se è improbabile che cada (una stampella di responsabili si troverebbe sempre). E ricadrebbero soprattutto sulla segreteria di Enrico Letta, che un giorno dovrà pur ammettere che il suo progetto di “campo largo” è diventato un vicolo cieco. E’ impossibile stringere accordi con il Movimento 5 Stelle, per la semplice ragione che non si è mai saputo a chi citofonare. Nessuno comanda, e tutti litigano su ogni banalità.
Anche Letta dovrà fare i conti con la fronda interna, magari sarà costretto a guardare verso il centro, e la sua credibilità ne uscirà pesantemente ammaccata. Vedremo con quali modalità verranno fatte saltare le cariche nel M5S: mentre tutti cercano di salvare il salvabile, perdendo, nel frattempo, ciò che resta della faccia.
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