Alla nuova Nato serve tempo. Più che di armi, è questione di cultura
Il vertice di Madrid si chiude con l'allargamento a Svezia e Finlandia. Ma bisogna capire che non si tratta solo di una questione di soldati e armi
La Nato che nel 2019 era stata considerata da Emmanuel Macron in stato di “morte cerebrale”, e che secondo Donald Trump era da ripensare, oggi si rivela ancora una volta fondamentale per la protezione delle nazioni libere. E con il via libera della Turchia all’adesione di Svezia e Finlandia appare rinvigorita come avesse già conseguito una vittoria dell’occidente nello scacchiere baltico. Da quelle parti, infatti, la sola Finlandia condivide con la Russia un confine ampio 1.340 chilometri, ma che tuttavia è caratterizzato da strade poco praticabili dai mezzi pesanti e da molti laghi. Se poi si guarda alla storia, è da quel confine che i russi cercarono di invadere la nazione, ed è proprio da quelle parti che sperimentarono i limiti dei mezzi pesanti in un ambiente sfavorevole al loro passaggio.
Ma ciò è stato evidentemente abbastanza per suscitare nei finlandesi la voglia di appartenere all’Alleanza Atlantica, che in questo modo si rafforza in nord Europa, nel Baltico, nell’Artico e nel Mare del Nord. Territori da sempre considerati strategici per il controllo della regione, come l’isola Gotland, ora saranno sotto il controllo Nato e non più di nazioni “cuscinetto”. Non a caso nella regione di svolgono con regolarità esercitazioni congiunte con forze dell’Alleanza, alle quali anche recentemente hanno partecipato anche reparti italiani.
Se poi si va a leggere la Carta costitutiva della Nato, ovvero il trattato di Washington, all’articolo 10 è scritto proprio che lo scenario da tutelare è quello appunto Nord Atlantico: “Le parti possono, all'unanimità, invitare qualsiasi altro Stato europeo in grado di promuovere i principi del presente trattato e di contribuire alla sicurezza dell'area dell'Atlantico settentrionale (…).”Dal punto di vista della difesa aerea, i due nuovi membri possiedono capacità rilevanti: la Finlandia ha in servizio gli F-18 americani e ha acquistato gli F-35 (64 unità), mentre la Svezia (che in fatto di aviazione è sempre stata indipendente grazie a Saab), oltre agli schieramenti di Jas-39 Gripen (tecnologicamente quasi al livello degli Eurofighter), è partner di Italia e Regno Unito per la costruzione del sistema d’arma di sesta generazione Tempest (entro un mese, al salone aerospaziale di Farnborough, si saprà anche se nel gruppo entrerà il Giappone). I finlandesi sono pochi (5,5 milioni di persone), e per questo nel Paese è ancora in vigore il servizio di leva obbligatoria, mentre gli svedesi sono il doppio (10,4 milioni) e l’industria aerospaziale è tra quelle più avanzate al mondo. A Helsinki c’è la sede del centro di eccellenza europeo il contrasto delle minacce ibride (HybridCoE), la cui formazione è stata intrapresa da una iniziativa Nato e della Ue. C’è poi la questione dell’Artico, regione nella quale lo scioglimento dei ghiacci sta permettendo la creazione di nuove rotte, e della quale Finlandia e Svezia hanno una conoscenza approfondita. L’ingresso delle nuove nazioni nell’Alleanza Atlantica, tuttavia non è cosa fatta. Il potere di veto, come inizialmente fatto dalla Turchia per ottenere in cambio la liberazione di terroristi e una presa di posizione sul Pkk. Altri Alleati potrebbero quindi porre veri e propri “ricatti” per concedere il proprio benestare.
Svezia nella Nato, la questione “interna” e la perdita della neutralità dopo due secoli
In Svezia c’è poi la questione interna: mentre la maggioranza del popolo pare favorevole all'adesione alla Nato, c’è chi è sceso in piazza per protestare sul fatto che la decisione appare affrettata e che la Svezia dovrebbe attenersi alla neutralità. “La cosa migliore per la sicurezza della Svezia e del popolo svedese è entrare a far parte della Nato”, aveva affermato il primo ministro svedese Magdalena Andersson già nel maggio scorso, annunciando quindi la fine di 200 anni di neutralità militare del Paese, in quanto dichiarò formalmente la neutralità nei conflitti militari sotto il regno del re Carlo XIV, nel 1834. Tuttavia, ci sono movimenti giovanili di sinistra che la pensano diversamente e che in primavera non hanno mancato di protestare nelle piazze.
Linda Akerström, della Società svedese per la pace e l'arbitrato, ha dichiarato: “Per molte persone questa decisione è un grande cambiamento perché in tutti questi anni molti svedesi si sono riconosciuti come ambasciatori di pace nel mondo, ma ora molti ritengono che la decisione sia stata affrettata uno basato sulla paura”. Durante la Seconda guerra mondiale la Svezia consentì alle forze naziste di transitare attraverso il suo territorio pur continuando a mantenere la sua posizione neutrale. Più recentemente, la Svezia ha svolto un ruolo in Afghanistan dispiegando truppe come parte della Resolute Support Mission a guida Nato fino alla fine di maggio 2021, adeguando gli standard militari per consentire l’interoperabilità con le forze alleate. Lo svantaggio dell'adesione all'alleanza risiede nel fatto che ora la Svezia dovrà adeguarsi alla politica di sicurezza occidentale perdendo libertà di manovra nella politica estera.
La presidente della lega giovanile del Partito socialdemocratico svedese, Lisa Nabo, ha affermato che la perdita ufficiale della neutralità è qualcosa che i giovani svedesi vedono come un problema: “La mia generazione, quella dei ventenni, non ha memoria di una guerra in Europa, neppure se fredda” ha dichiarato, “quindi questa situazione ci è sconosciuta, del resto non abbiamo la stessa esperienza in fatto di guerre come i Paesi nostri vicini che hanno vissuto la seconda guerra mondiale e la guerra in Jugoslavia”. Infine, c’è la questione della Comunità indigena Sami, nel nord del Paese, nella quale si pensa che la decisione della Svezia di aderire alla Nato possa avere un impatto negativo sui loro diritti, aumentando le esercitazioni nei loro territori e costringendoli a cederne una parte.