Niente metodo Draghi. Manovra frutto della solita palude
Se il premier ha meglio impostato i progetti del Pnrr rispetto al governo precedente, in questa Finanziaria vi è davvero poco di innovativo. Lo status quo, che va bene a tutti i partiti e forse anche ad un Draghi proiettato verso il Quirinale, regna sovrano. Risultato: bonus, cosmetica fiscale e fondi a pioggia per premiare chi peggio ha speso.
La rivoluzione, come sempre in Italia, può attendere. Nemmeno Draghi e lo “stato d’eccezione” della pandemia riescono a far uscire la prossima legge di bilancio dalla consueta palude della politica italiana. Nelle manovra c’è molto di ciò che si è già visto negli scorsi anni: bonus, cosmetica fiscale, denari a pioggia per certi settori, salvataggio dei Comuni in dissesto. Il declamato ed esoterico “metodo Draghi” non si vede all’orizzonte del bilancio dello Stato. Verranno prorogati tutti i bonus edilizi, eccoli in fila: superbonus 110%, bonus facciate, bonus verde, bonus ristrutturazioni, ecobonus, sismabonus, bonus mobili. Si corre poi ai bonus fiscali con alchimie previste per classi d’età: bonus prima casa under 36 e bonus affitti under 31. Ma non è finita, resteranno in piedi anche bonus TV, bonus decoder, bonus acqua potabile, bonus cultura, bonus assunzioni (per giovani al Sud). Sul fronte del fisco, resta il bonus 100 euro in busta paga per chi ha redditi fino a 15.000 euro, che dovrebbe allargarsi anche ai redditi fino a 28mila euro. Sono previsti anche 150 milioni per un fondo dedicato ai settori del turismo e dello spettacolo. Il governo è stato poi costretto a mettere 3,8 miliardi per contenere il rincaro delle bollette energetiche. Qualora questa alluvione di micro-politiche non bastasse, lo Stato ha deciso di salvare i Comuni in dissesto delle città metropolitane: Napoli, Torino, Palermo e Reggio Calabria. L’irresponsabilità di alcuni amministratori locali e le loro politiche clientelari o sovradimensionate costeranno agli italiani 2,6 miliardi di euro. Al solito lo “Stato salvatore” premia chi ha male amministrato, senza mettere freni alla spesa locale. Il “centralismo debole” italiano si ripresenta in tutta la sua corrotta voracità: il governo centrale salva, i Comuni (e le Regioni) restano liberi da responsabilità politiche e fiscali. L’abolizione dell’Irap per le persone fisiche, ad esempio, replica lo stesso schema di sussidio dal centro: lo Stato ristorerà le regioni dei fondi persi. Così come lo Stato italiano in Europa viene salvato dal default con un’esplosione del debito sostenuta dalla banca centrale, così gli enti locali vengono protetti dal fallimento attraverso un’azione di redistribuzione delle risorse dello Stato. In entrambi i casi, la classe politica italiana si mette al riparo dal dover rendere conto ai contribuenti. In conclusione, la manovra di bilancio 2022 si muove sulla stessa distorta riga degli ultimi anni. Micro-politiche, corporativismo, clientelismo e assoluzione dai debiti la fanno da padroni. Inoltre, sulla delega fiscale il governo vuole chiudere tutto entro gennaio, prima dell’elezione del Presidente della Repubblica. L’idea è di accorciare i tempi del dibattito e tirare diritto con una riforma che dentro ha molto poco se non una modesta razionalizzazione delle aliquote e delle detrazioni. Forse il testo avrebbe meritato una discussione parlamentare più lunga e approfondita per potere essere migliorato.
Se Draghi ha meglio impostato i progetti del Recovery Plan rispetto al governo precedente, in questa manovra vi è davvero poco di innovativo. Lo status quo, che va bene a tutti i partiti e forse anche ad un Draghi proiettato verso il Quirinale, regna sovrano. Resta come sempre evasa una domanda: cosa succederà quando le condizioni economiche cambieranno ad uno Stato che riesce soltanto a distribuire briciole ai vari gruppi e categorie invece di realizzare cambiamenti di ampia portata? Una domanda a cui nessuno vuole o può rispondere, né al governo né in Parlamento.
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