Non solo Tridico: il problema del "giusto stipendio" da Amalasunta al senatore Roncalli
Ho voluto aspettare qualche giorno per parlare del caso Tridico, così da riflettere a mente fredda.I
l problema è apparentemente semplice. Pasquale Tridico è stato assunto come presidente INPS a marzo 2019 con uno stipendio di 62 mila euro annui. Ora si viene a sapere che dall'estate 2019 è passato a 150 mila euro annui. Scandalo! Specie per un Presidente indicato dal Movimento 5 stelle.
Le polemiche sulla adeguatezza degli stipendi pubblici sono antiche. Tanto che Amalasunta, regina degli Ostrogoti, scrisse una accorata lettera al Senato romano per garantire uno stipendio adeguato ai maestri di grammatica, anche "colla debita gratificazione di vettovaglie". Ed eravamo nel 530 d.C….
Venendo ai nostri tempi, dobbiamo ricordare che un tetto agli stipendi pubblici è stato introdotto dal Governo Monti, con gli artt. 23-ter del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 secondo cui "il trattamento economico annuo onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni" non può mai superare "il trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione". Lo stipendio del Presidente della Corte di cassazione è stato fissato a 309.000 euro. Poi l'art. 13 del d.l. 24 aprile 2014 n. 66, sotto il titolo "amministrazione sobria" il limite retributivo è stato portato a 240.000 euro.
Così si stima che in 10 anni, la retribuzione media dei 1.809 dirigenti apicali della Pubblica amministrazione sia passata da una media di 339 mila a 212 mila euro annui. Sicuramente un limite di moralizzazione e di risparmio di spesa.
Tuttavia, questa tendenza si è accompagnata a una serie di tagli e riduzioni su tutte le categorie del pubblico impiego, in nome del vento anti-casta.Così si è arrivati ad assegnare al Presidente dell'INPS uno stipendio di molto inferiore a gran parte dei dirigenti che lavorano alle sue stesse dipendenze.
Un vero controsenso, no? Va considerato un altro aspetto.
L'art. 50 dello Statuto albertino disponeva: "Le funzioni di Senatore e di Deputato non danno luogo ad alcuna retribuzione od indennità". Se non fosse per il linguaggio un po' aulico, qualcuno potrebbe pensare che sia stato scritto e votato sulla Piattaforma Rousseau.
Scherzi a parte, l'idea di non pagare i parlamentari era pienamente comprensibile in un sistema di elezioni a voto limitato. Non dimentichiamo che nel 1861 in Italia su 22 milioni di abitanti, andarono a votare meno del 2 per cento della popolazione. Solo maschi, maggiorenni, alfabetizzati, abili al servizio militare e che pagavano almeno 40 lire di tasse (cioè decine di migliaia di euro di oggi). Così in Parlamento venivano eletti soltanto nobili e ricchi borghesi. Eppure, il 29 maggio del 1861 il Senato Regio votò sulla proposta del senatore bergamasco Francesco Roncalli, conte di Montorio, di concedere viaggi gratuiti in treno ai parlamentari italiani. Un modo per agevolare soprattutto i parlamentari delle Regioni più lontane finalmente appartenenti all'Italia unita. Ma la proposta venne seccamente bocciata, facendo osservare che "servire il Paese è un privilegio, pari al dovere. Chi lo ha fatto in armi ha rischiato tutto, compresa la vita, senza altro chiedere.
La mercede è da mercenari, non da patrioti, non sia mai". 49 voti contrari e 30 favorevoli. Sappiamo che il suffragio universale maschile arriverà in Italia soltanto con la legge n. 666 del 1912, malgrado le perplessità degli stessi socialisti come Turati e Salvemini che temevano corruttele. Da allora, è stata introdotta anche la indennità parlamentare, per consentire a tutti di poter sedere in parlamento.
Ma non dobbiamo dimenticare che già Pericle, nella Atene del V secolo aveva introdotto l'obolo per chi partecipava alla Ecclesia, in maniera da permettere anche ai cittadini meno abbienti di partecipare all'Assemblea, senza perdere una giornata di lavoro.
Ecco il punto. Il lavoro va pagato, come anche la partecipazione alla democrazia. Se non viene pagato e in maniera adeguata, torna ad essere un sistema di casta, a cui partecipano soltanto i più ricchi o chi lo fa per altri interessi.
Tutto ciò ce lo hanno ricordato anche i Costituenti, stabilendo nell'art. 36 della Cost. che "Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa".Anche così funziona bene la repubblica democratica, che come sappiamo è fondata sul lavoro. Sul lavoro pagato adeguatamente.
A mio avviso, sulla questione degli stipendi pubblici non dobbiamo essere facilmente demagoghi. Il lavoro va pagato in maniera proporzionata, per cui è impensabile che il Presidente dell'INPS guadagni meno di molti dei suoi dipendenti. Altrimenti, torneremo a nominare alle cariche più alte soltanto il Conte Roncalli e i suoi pari.