Gli obiettivi inconfessabili del Medio Oriente
L'editoriale del direttore
Nella guerra che si va sviluppando in Medio Oriente ci sono cose che non si possono rivelare ufficialmente, ma anche se inespresse sono piuttosto visibili a chi non è digiuno di questioni geopolitiche e militari. La prima riguarda direttamente i palestinesi. Un ambasciatore esperto di cose mediorientali definiva la questione come un gran mal di testa per i Paesi arabi. A parole tutti prendono le difese degli abitanti di Gaza e della Cisgiordania, accusando di genocidio Israele e invocando la soluzione dei due Stati. In realtà nessuno è disposto effettivamente ad impegnarsi in tal senso, perché la maggior parte di coloro che protestano contro Gerusalemme sa che non solo il conflitto non terminerebbe con la proclamazione di una nazione palestinese, ma la sua istituzione sarebbe destabilizzante per l’intera area.
Qualcuno potrebbe pensare che questa sia una lettura un po’ bizantina dello scontro in atto. Tuttavia, le osservazioni non poggiano solo sul dato che anche nel passato i Paesi arabi hanno dimostrato una certa riluttanza ad accogliere i palestinesi (anzi, in Giordania re Hussein nel Settanta impiegò l’esercito per sfrattarli, reprimendo nel sangue un tentativo di golpe), preferendo sposarne la causa solo a parole. Ma si regge anche sulla constatazione che a un anno di distanza dall’invasione di Gaza come reazione alla strage del 7 ottobre nessuno Stato arabo ha realmente offerto una soluzione o anche solo una mediazione, rifiutando perfino di aprire le porte ai profughi. Da Riad ad Amman, dal Cairo ad Abu Dhabi sono tutti solidali con i palestinesi, soltanto se c’è da rilasciare una dichiarazione che non implica altro. E poi, diciamoci la verità: in passato le operazioni mirate con cui Israele ha eliminato a Teheran il capo di Hamas, Isma’il Haniyeh, e a Beirut quello di Hezbollah, Hassan Nasrallah, avrebbero scatenato violente manifestazioni di piazza in tutte le capitali arabe. E invece nulla di tutto ciò è successo.
Al contrario, in alcuni Paesi si sono registrate reazioni di giubilo, con immagini che hanno fatto il giro dei social. Sì, i regimi che governano questi Stati protestano, voltano le spalle al primo ministro Benjamin Netanyahu quando questi parla all’Onu, ma nei fatti non paiono essere molto dispiaciuti per ciò che sta avvenendo. Anzi, sotto sotto sembrano osservare consenzienti le mosse del «nemico» Israele, forse convinti che risolverà per conto loro qualche problema. Tanto per cominciare le nazioni sunnite non guardano con favore le mire egemoniche sulla regione di un Paese sciita come l’Iran. E non si tratta solo di divisioni religiose, ma di questioni sostanziali, che rischiano di sconvolgere l’intera area ed equilibri consolidati. Teheran da tempo vagheggia l’idea di sottrarre all’Arabia la sovranità della Mecca e della Medina, le città sante da sempre punto di riferimento del mondo islamico. L’obiettivo piuttosto scoperto anche se non dichiarato è uno solo: delegittimare la monarchia saudita. Che infatti considera l’Iran come il proprio peggior nemico, più di Israele.
Peraltro, sono gli stessi Guardiani della rivoluzione, ovvero il braccio armato dell’ayatollah Khamenei, ad armare gli Houti, ovvero i guerriglieri che non soltanto minacciano Gerusalemme con i loro missili a lunga gittata, ma conquistando lo Yemen sono di fatto diventati una spina nel fianco di Riad. Del resto, in passato si intravide la mano dell’Iran anche nell’assalto ai pozzi petroliferi sauditi, che costrinse l’Arabia a fermare parte della propria produzione, e pure nell’attacco con i droni all’aeroporto di Abu Dhabi. E sempre a causa degli Houti, l’Egitto, con i razzi che colpiscono le navi occidentali nel Mar Rosso, rischiano di pagare un prezzo piuttosto caro, a tutto vantaggio dei porti del Nord Europa e a scapito di quelli del Mediterraneo. Dunque, per questa serie di ragioni, anche se non si esprimono ufficialmente a favore di Gerusalemme, molti Paesi arabi non sono affatto dispiaciuti di un ridimensionamento dell’Iran e, con esso, del cosiddetto islam politico. Probabilmente pensano che togliendo di mezzo Hamas, Hezbollah e gli Houti anche loro, e non soltanto Israele, starebbero meglio. Di certo, alcune monarchie si sentirebbero più sicure. E pazienza se questo vedrà i palestinesi sacrificati per l’ennesima volta.