Le pagelle della politica, da Giorgia Meloni a Di Maio
Quello che si chiude è un anno che ha segnato come pochi altri la politica italiana, con leader in salita ed altri finiti fuori dalla politica
E’ stato indubbiamente l’anno di Giorgia Meloni, il primo presidente del consiglio donna (e di destra) della Repubblica. Ha premiato la perseveranza all’opposizione, e la ricerca di una coerenza riconosciuta dagli elettori. Però adesso governare è un’altra storia. Ha innestato il pilota automatico nei primi mesi a Palazzo Chigi, in qualche modo smentendo le profezie autoritarie scagliate contro di lei in campagna elettorale. Il 2023 per lei sarà l’anno delle decisioni cruciali (e impopolari), terminata la fase luna di miele con gli italiani. Certo: è facile arrivare primi quando non ci sono avversari veri…
VOTO: 7,5
GIUSEPPE CONTE
E’ stato l’anno che ha battezzato il Conte descamisados. Lui, che è stato sovranista, europeista, grillista, si è infilato la maschera di Masaniello. Ci si è messo di impegno, per diventare il simbolo dell’assistenzialismo meridionalista, e numeri alla mano ci è riuscito. Nonostante lo dessero per morto. Oggi recita la parte del pacifista a oltranza, dimentico dei provvedimenti militari varati dal suo governo. Paladino del reddito di cittadinanza, lo slogan del M5s contiano potrebbe essere senz’altro “tengo famiglia”.
Voto: 7
ENRICO LETTA
E’ una persona onesta, senza dubbio. Ma con le sue scelte ha dimostrato che la politica italiana, la politica politicante, non è il suo pane. Sceglie la via più facile, quella della fascistizzazione dell’avversario, e finisce contro un muro. Sbaglia le alleanze elettorali, e oggi resta sul trono della segreteria a guardare un partito che gli si squaglia in mano.
Voto: 4,5
MATTEO SALVINI
Il Capitano guida la Lega in acque agitate. Su una nave ammaccata dall’esperienza draghiana, cannoneggiata dagli elettori, che vede sventolare davanti al naso i vessilli trionfanti di Fratelli d’Italia. Cerca di rifarsi spolverando antichi cavalli di battaglia, ma è difficile prendersi rivincite da attore non protagonista. Con la fronda bossiana alle porte, per Salvini si profila un anno sfidante.
Voto: 5,5
SILVIO BERLUSCONI
Si è divertito, oltre che con il suo Monza, ad assaporare l’ebbrezza della gara per il Quirinale. Poi ha dovuto cedere, di fatto, a Giorgia Meloni, lo scettro di leader della coalizione. Un passaggio di consegne forse mai digerito fino in fondo. Resta il simbolo di un partito in affanno, bersaglio degli appetiti renzian-calendiani e terra di conquista delle scorribande salviniane. L’uomo ama le sfide, e non gliene mancheranno.
Voto 6.
CARLO CALENDA
Un anno vissuto perennemente sulla rampa di lancio. Un lancio che però non è mai avvenuto. Simpatico è simpatico. Per comunicare, comunica (a volte fin troppo). I colpi di scena con lui non sono mancati, a cominciare dalla soap opera estiva dell’alleanza con il Pd. Ma deve tenere a bada la sua vis polemica: gli italiani non sanno che farsene di una persona competente che però litiga con tutti. Compreso il suo compare fiorentino.
Voto 6
MATTEO RENZI
Sarà antipatico quanto volete, ma resta la migliore intelligenza politica in circolazione. Tira i fili, orienta l’agenda, pur continuando ad avere consensi da prefisso telefonico. E’ pronto a lanciare l’Opa su Forza Italia, e se il governo dovesse traballare si candida ad esserne la stampella. La zavorra che lo tira in basso resta quell’ego smisurato, che lo porta a fatturare conferenze in paesi non esattamente campioni di democrazia.
Voto 7.
MARIO DRAGHI
Gli hanno scippato il Quirinale, e non l’ha mai accettato. Del resto in politica non vi sono certezze. Guidare il governo non è come gestire una banca centrale, e Draghi l’ha imparato sulla sua pelle. Il suo governo era ormai bollito per evidente incompatibilità dei partiti che lo componevano. E lui è già consegnato alla storia.
Voto 6,5
LUIGI DI MAIO
Doveva essere la rivelazione dell’anno, secondo quelli bravi. E’ stato niente più che una meteora. Perde male le elezioni, e affronta ancor peggio la sconfitta. Fugge come uno Schettino qualsiasi, abbandonando in culla un partitino mai nato. Forse si riciclerà come raccomandato di lusso in Europa: una sorta di reddito di cittadinanza europeo, che gli calza a pennello.
Voto 4.
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