Partito ombra: così l'associazione dei Sindaci è diventata la trincea della sinistra
È un’organizzazione cruciale per il controllo su Comuni e territori, l’Anci. E da sempre è dominata dal Pd. Ma all’assemblea annuale, il 22 novembre, ci sarà una resa dei conti...
Il Nazareno freme. Seppur intontiti dall’ennesima scoppola elettorale in Liguria, i capintesta adesso hanno in mente solo l’Anci, la battagliera associazione che riunisce 7.223 Comuni italiani. A Torino, dal 22 al 24 novembre, ci sarà l’attesissima assemblea annuale, con un’unica e imprescindibile missione: nominare il nuovo presidente dopo gli otto anni al comando di Antonio Decaro, già sindaco di Bari, eletto lo scorso giugno al parlamento europeo. Ma l’usuale plebiscito, stavolta, rischia di trasformarsi in una sanguinosa conta all’ultimo vo to tra i due contendenti: il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, e quello di Torino, Stefano Lo Russo. Tra cui potrebbe perfino insinuarsi un altro aspirante al trono. Riassumiamo. Al governo nazionale c’è il centrodestra. Controlla però anche 15 Regioni su 20, difatti la conferenza dei governatori è guidata dal leghista Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli-Venezia Giulia. Al «campetto» largo resta così un unico avamposto: l’Anci, appunto. Per questo, nelle ultime settimane, s’è scatenata una guerra termonucleare tra correnti e potentoni per concordare il successore di Decaro. La scelta dilania il Pd. S’annunciano ripercussioni perfino sulle elezioni del prossimo anno. Non è solo un ruolo di rappresentanza, ovvio. Il prescelto, nei piani nazarenici, dovrà proseguire il duello con Palazzo Chigi, dai fondi per il Pnrr all’autonomia differenziata. Bisogna dunque chiamare a raccolta i sindaci di centrosinistra nel baluardo piddino. L’associazione Don Peppone è decisiva per i progressisti. Soprattutto adesso, viste le residue speranze di gloria. È da trent’anni in mano alla ditta piddina e diessina. Ha sempre trionfato un monocolore: il rosso vivo con le sue tenui sfumature. Nel 1995 diventa presidente Enzo Bianco, allora sindaco di Catania. Seguiranno altri colleghi: Leonardo Domenici, Sergio Chiamparino, Graziano Delrio, Piero Fassino e Decaro. Sindaci, nell’ordine, di: Firenze, Torino, Reggio Emilia, ancora Torino e Bari. Nel 2023, dettaglia l’ultimo bilancio, l’Anci ha avuto entrate per oltre 44 milioni di euro: quasi dodici vengono dalle quote versate dai Comuni e oltre ventisei da progetti pubblici. Ci lavorano 104 dipendenti, che costano quasi nove milioni di euro. Gli stipendi di alcuni dirigenti sono sostanziosi. Guadagnano più dei sindaci di Roma o Milano, per intenderci. Più del presidente della Repubblica: 239 mila euro, che però Sergio Mattarella ha sforbiciato a 179 mila. Più dei 160 mila che spettano al presidente del Consiglio: lo stesso tetto che, nell’ultima manovra, è previsto per i manager di Stato.
Solo che l’Anci, sebbene sia tenuta in piedi quasi esclusivamente da soldi pubblici, è formalmente una società privata. La condizione giuridica permette di raggiungere notevoli vette. Lo storico segretario generale, Veronica Nicotra, l’anno scorso ha guadagnato 257.600 euro, così suddivisi: base di 208.600 euro, indennità di 24 mila, premio di 25 mila. Segue Patrizia Minnelli, già segretaria dell’ex presidente Bianco, a capo di marketing, relazioni esterne e cerimoniale. Vanta una retribuzione annua lorda di 168.500 euro, che schizza a 240 mila grazie ai 71.500 di premio del 2023. Angelo Rughetti, ex deputato del Pd e sottosegretario dei governi Renzi e Gentiloni, s’accontenta invece di 208.600 euro, a cui si aggiunge un bonus di 20 mila. Adesso è distaccato alla fondazione Ifel, l’osservatorio sugli investimenti comunali dell’Anci. Non va male neppure ai consulenti, per la verità. Solo nel 2024 sono stati concessi 189 incarichi esterni. Nell’interminabile lista, c’è un altro ex deputato piddino, Luigi Famiglietti. Tra il 2019 e il 2023 ha ottenuto tre collaborazioni, per 152.750 euro complessivi: la più sostanziosa, di oltre 68 mila euro, «come esperto senior in materia di ordinamento degli enti locali». Nell’elencone c’è anche il professor Luigi Ranieri, che Decaro ha nominato nella «cabina di regia» per l’attuazione del Pnrr a Bari. Altri tre incarichi, totale 98.500 euro, per un progetto dedicato allo sviluppo dei piccoli Comuni. L’Anci è il feudo inespugnabile. E il sindaco dei sindaci ha un potere sterminato, destinato a perdurare nel tempo. Vedi Decaro, appunto. Ha preso mezzo milione di voti alle europee, trascinando il Pd al Sud. Ora è presidente dell’ambitissima commissione Ambiente a Bruxelles, dove è l’alfiere del partito degli ex amministratori: Stefano Bonaccini, Dario Nardella, Giorgio Gori, Matteo Ricci. Elly Schlein, la segretaria del Pd, pensava di aver escogitato una mandrakata: dopo aver beneficiato dei loro voti per sfangarla, pensava che il confino in Belgio li avrebbe tenuti lontani dal potere in Italia. Mai sottovalutare gli svillaneggiati caccicchi, però. Sono gli intramontabili. Adesso vorrebbero riprendersi il Nazareno con il tentacolare Decaro, che per l’Anci tifa Manfredi, il Masaniello in grisaglia che dovrà aizzare la protesta contro l’«antistorica riforma» autonomista. L’elezione del sindaco di Napoli rinsalderebbe pure l’esile asse con i Cinque stelle, che puntano a candidare in Campania l’ex presidente della Camera, Roberto Fico. L’ex rettore della Federico II ha però tanti nemici all’interno del partito. Il più temibile è il governatore campano, Vincenzo De Luca, in lotta per il terzo mandato. Pur di non veder trionfare l’odiatissimo, è pronto a organizzare la sommossa dei sindaci deluchiani all’assemblea torinese. A compagni e avversari, durante pirotecniche telefonate, Don Vincenzo intanto non smette di ricordare il patteggiamento del rivale con la Corte dei conti, che gli contestava vecchi incarichi incompatibili con il suo ruolo di professore universitario. Lo scorso dicembre, il sindaco di Napoli ha risarcito l’ateneo napoletano con 210 mila euro. «Il Pd attacca il patteggiamento di Giovanni Toti e poi sostiene Manfredi, ma come si fa?» svelena Don Vincenzo in privato.
L’altro feroce avversario dell’iniziale predestinato è Beppe Sala, malconcio sindaco di Milano. Dopo aver appreso delle manovre romane orchestrate dall’inossidabile Goffredo Bettini, paziente rassodatore del campetto largo, annuncia battaglia: «È un sindaco del Nord che deve diventare presidente dell’Anci». L’antitetico candidato è quindi Lo Russo, sostenuto dai colleghi nordisti, centrodestra compreso. È in ottimi rapporti con il governatore del Piemonte, il forzista Alberto Cirio, e con il corregionale Guido Crosetto, ministro della Difesa. Stavolta, Fratelli d’Italia non vuole osservare silente. Negli ultimi anni, ha conquistato molti Comuni. E ora intende farli pesare nella disfida per l’Anci. Non viene esclusa neppure un’ipotesi che sembrava impensabile: vista la lotta fratricida tra i Dem, potrebbe perfino schierare un proprio candidato. Il nome più evocato è quello di Pierluigi Biondi, sindaco dell’Aquila e responsabile degli Enti locali nel partito. È stato appena eletto presidente dell’Anci Abruzzo, primo sindaco meloniano a riuscire nell’impresa in una regione. Interpellato da Panorama, Biondi sorvola. Conferma però il coriaceo intento: «L’Anci deve diventare un luogo aperto, senza pregiudizi e fini propagandistici». Insomma, basta far da grancassa antigovernativa. L’eventuale nomina di Lo Russo, misurato e antigrillino, sarebbe un primo passo. Ma non è affatto escluso il blitz dei sindaci di centrodestra al prossimo congresso. «Lotteremo perché l’associazione torni a essere un organo di rappresentanza» prosegue il sindaco dell’Aquila. Biondi esemplifica il supposto doppiopesismo. «La spending review dei giallorossi di Conte andava bene alll’Anci. Mentre gli esigui tagli decisi adesso dal governo, no». E poi, l’alluvione in Emilia-Romagna: «Si grida allo scandalo per la nomina del generale Figliuolo come commissario straordinario, al posto del presidente della Regione. Invece, andava benissimo Vasco Errani, che era un ex governatore del Pd e non un tecnico, per la ricostruzione dopo il terremoto del 2016». Tra due settimane, comunque, al Lingotto di Torino i due correntoni rossi potrebbero sfidarsi all’ultimo voto. L’eterna coazione a ripetere dei progressisti tricolore, appena risperimentata alle regionali liguri. Tutti contro tutti. Anche per scegliere il Don Peppone d’Italia.