Il Pd cerca un federatore senza dirlo alla Schlein
In passato, un nome per eccellenza su quello di Silvio Berlusconi. Poi venne Prodi. Il suo compito? Mediare le lotte intestine e ricompattare il partito
Adesso la parola chiave a sinistra è “federatore”. Tutti a caccia del federatore, cioè dell’uomo (o donna) che unisca il fronte progressista dopo anni di lotte intestine. Federatore per eccellenza, sull’altro campo, fu Silvio Berlusconi. Federatore poi disarcionato fu Romano Prodi. Ed è proprio sognando un nuovo Prodi che a lanciare la caccia al tesoro è stato l’ex leader democristiano Pierluigi Castagnetti, nella speranza di individuare un personaggio che tenga insieme il variegato mondo di Schlein e Calenda, dei Verdi alla Bonelli e dei nuovi e vecchi comunisti, fino ad arrivare ai centristi in perenne lotta di marchio renziano o calendiano.
Il rischio, come sempre da quelle parti, è quello di costruire una nuova edizione dell’armata Brancaleone. Difatti, anziché convergere su un unico profilo, ognuno ha avanzato il suo nome, il suo federatore personale. Cosicché di federatori della sinistra in poche ore ne sono spuntati a bizzeffe. C’è chi propone, per l’ennesima volta, il sindaco di Milano Beppe Sala; chi assicura che c’è già in rampa di lancio Gentiloni; chi nel mondo prodiano bolognese lancia Filippo Andreatta; chi già sogna il sacro sindacale impero di Maurizio Landini. Il risultato è che, vista la ressa di candidati, ci vorrebbe un “federatore dei federatori”, ma saremmo comunque punto e a capo.
Il guaio è sotto gli occhi di tutti. E’ drammaticamente difficile federare le mele con le pere. Prima di trovare il federatore che guidi la corriera, sarebbe prima opportuno decidere da che parte andare. Andiamo verso la sinistra liberal-moderata-macroniana? Andiamo verso l’ecologismo woke? Andiamo verso il populismo sindacale landiniano? Se in quelle contrade non decidono che direzione prendere, non c’è che un epilogo: si va contro il muro. E non a caso la schiera dei papabili candidati sfugge, resta silente, tergiversa: sono tutti terrorizzati. Nessuno vuole correre per una poltrona rovente col rischio di finire sulla graticola il giorno dopo.
Il dato di fatto, a quanto pare, è che la leadership di Schlein, e men che meno di Conte, traballa: il loro potere comincia e finisce nei confini dei propri partiti. Troppo poco, per pensare a una coalizione organica. La conseguenza è che manca un minimo comune denominatore, persino sulle regole. E lo strappo di Firenze ne è un chiarissimo esempio. Sulle rive dell’Arno succede infatti che, in barba al rito stanco delle primarie, a sinistra abbiano scelto il futuro candidato sindaco nel dopo Nardella con un blitz tutt’altro che democratico. L’assemblea del Pd si è riunita fulmineamente ed ha incoronato Sara Funaro, ex assessore all’urbanistica del comune. E già il fronte si è spaccato, perché Italia Viva si chiama fuori denunciando la deriva “verso la sinistra radicale: sarà interessante leggere il programma sull’aeroporto, sullo stadio, sui mezzi pubblici”. Ecco, il paradosso fiorentino è esattamente questo: come si fa a correre per l’Italia, quando non si trova la quadra nemmeno sulla singola piazza fiorentina? Come possono immaginare di scegliere un federatore nazionale, se non c’è accordo sulle regole nemmeno per Palazzo Vecchio a Firenze? Per adesso, più che un federatore, ci vorrebbe un miracolo.