Su pensioni ed i conti in rosso dell'Inps il Governo senza una strategia chiara
Il bilancio dell'ente di previdenza chiuderà con quasi -10mld ma, quel che è peggio, è che non si vede un piano a lungo termine, quando le cose peggioreranno
Il sistema pensionistico è l’elefante nella stanza della politica italiana. Un elefante che tutti si rifiutano di vedere, ma che anno dopo anno incombe sempre di più sui bilanci dello Stato.
L’Italia è uno dei paesi europei che, rispetto al PIL, spende maggiormente in pensioni. Su questa spesa enorme c’è l’ombra di un passato iper-pensionistico, derivante da politiche clientelari e assistenziali, ma anche il peso di una curva demografica sempre peggiore. In altre parole, più la società italiana invecchia e più i conti dell’INPS diventano un problema. E questo nonostante la riforma Fornero nel 2011 abbia alzato l’età pensionabile e portato il calcolo integralmente verso il sistema contributivo.
L’Inps per il 2023 prevede di chiudere il bilancio con un risultato negativo per 9,7 miliardi dopo il dato positivo di 1,8 miliardi del 2022. Pesano l’inflazione naturalmente e la riduzione dell’occupazione effetto combinato della pandemia e del rialzo dei tassi d’interesse della BCE. La maggioranza non sembra curarsi per ora troppo del problema. Fratelli d’Italia, primo partito della maggioranza, non ha mai avuto una precisa idea sulle pensioni, mentre Berlusconi continua a spingere per l’innalzamento delle minime e Salvini per rivedere a ribasso l’età pensionabile. Tuttavia, il governo ha scelto un approccio cauto e incrementale per queste riforme proprio per evitare eccessivi squilibri nei conti. Queste micro-riforme però, combinate agli altri fattori, sembrano incapaci sia di migliorare sostanzialmente le condizioni di pensionati presenti e futuri sia, in particolare modo, di rendere sostenibili i conti dell’INPS.
Il problema, come si diceva, è di lungo periodo: i pochi figli fatti dagli italiani determinano l’invecchiamento della popolazione che, rispetto ad altri paesi, ha già aspettative di vita lunghe; di conseguenza il numero dei lavoratori complessivi diminuisce mentre quello dei pensionati in proporzione cresce. È bene chiedersi, in questo scenario, perché nessuno pensi a forme di integrazione del sistema pensionistico con il privato. Oggi questa complementarità riguarda soltanto una minima parte, spesso la più benestante, della popolazione italiana. Ma invece che incentivare il ricorso alla previdenza complementare lo Stato italiano negli ultimi quindici anni ha fatto l’esatto contrario aumentando la tassazione sui fondi pensioni e bollando con demagogia la pratica sotto l’etichetta di “rendite finanziarie”. Questo passaggio è invece necessario e fondamentale poiché nel raggio di pochi anni il tema delle pensioni rischia di diventare un fattore decisivo di crisi dello Stato, un rischio sistemico che può portare a dolorose ristrutturazioni economiche. La destra su questo è chiamata a fare la destra, aprendosi ai privati e incentivando la previdenza complementare se necessario attraverso lo Stato-garante. Tutto tace su questo fronte, ma una iniziativa in tal senso costa poco sul piano fiscale e può essere molto importante per gli italiani e l’Italia dei prossimi anni e decenni.
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