Pescatori abbandonati in Libia: il giallo della responsabilità politica
I retroscena del sequesto dei pescherecci di Mazara del Vallo
«La Marina militare non chiede sempre l'autorizzazione, ma di fronte a una situazione come quella dei pescatori deve esserci stata sicuramente una decisone politica» rivela a Panorama una fonte governativa, che conosce il caso dei due pescherecci con 18 marittimi di Mazara del Vallo fermati il primo settembre davanti alla Libia e detenuti a Bengasi.
La Marina si è assunta tutta la responsabilità del mancato, anche se possibile, intervento per evitare il sequestro in mezzo al mare da parte di una piccola motovedetta del generale Khalifa Haftar con soli quattro uomini a bordo e armi leggere. «La decisione politica spetta al ministro della Difesa» spiega la fonte, ma secondo lo stesso dicastero, Lorenzo Guerini, è stato informato alle 8 del mattino dopo, 2 settembre, quando i pescherecci erano già in porto a Bengasi.
L'allarme era arrivato a bordo della nave militare Durand de La Penne alle 21.35 della sera prima. La fonte governativa sostiene che «il capo di stato maggiore della Marina, Giuseppe Cavo Dragone, deve avere chiamato il generale Enzo Vecciarelli (capo di stato maggiore della Difesa nda), che avrebbe dovuto informare subito il ministro e contestualmente potrebbe avere chiamato il consigliere militare del presidente del Consiglio, l'ammiraglio Carlo Massagli». Alle domande di Panorama su quando e come Giuseppe Conte sia stato informato della vicenda e quali disposizioni avesse impartito, Palazzo Chigi non ha voluto rispondere senza dare alcuna spiegazione.
La Farnesina interviene a tarda notte
Il ministero degli Esteri conferma di «essere stato interessato al caso a tarda notte», quando era definitivamente tramontata l'opzione militare. Dopo l'una «è stata attivata la diplomazia e informata l'ambasciata italiana a Tripoli». In definitiva la Farnesina interviene a cose fatte, il ministro della Difesa «dormiva» ed è stato informato il giorno dopo e Palazzo Chigi non risponde su quando ha saputo della crisi. Incredibile, se fosse vero, che la decisione di abbandonare i pescatori al loro destino nella mani di Haftar, in un momento estremamente delicato dei rapporti con la Libia e il generale, sia stata presa solo dai marinai senza alcun intervento del vertice politico.
«Impossibile che non sia stato informato subito il ministro della Difesa»
Non ci crede l'ex ministro della Difesa, Ignazio La Russa. «I casi sono due: la Marina ha sottovalutato la gravità della situazione o se sapevano che erano stati presi in ostaggio a bordo della motovedetta libica i quattro comandanti dei pescherecci è impossibile che non sia stato avvisato subito il ministro» spiega, in base all'esperienza personale al dicastero della Difesa, l'esponente di Fratelli d'Italia. La Marina ha sostenuto fin dall'inizio di non essere intervenuta proprio per non mettere in pericolo gli ostaggi credendo, a torto, che i libici fossero saliti sui pescherecci.
«Non c'è alcuna giustificazione ad avere avvisato Guerini il giorno dopo e non la sera stessa della crisi» sottolinea La Russa. «Se il ministro proprio non si trovava o era in una riunione e non si poteva disturbare i militari cercano un sottosegretario, come è capitato a me e solo in ultima istanza si rivolgono a Palazzo Chigi». Si tratta della cosiddetta «copertura politica», ma in questo caso la faccenda è finita male e si gioca allo scaricabarile. Nessun politico vuole avere a a che fare con il mancato intervento all'origine della patata bollente dei 18 pescatori da oltre due mesi e mezzo detenuti in Libia.
Guido Paglia, sul suo blog https://www.sassate.it, ha lanciato una precisa stoccata: «Difesa e pescatori sequestrati: se Vecciarelli salva i politici, la responsabilità è solo sua». Secondo Paglia,il pasticcio al largo della Libia è una delle «conseguenze della decisione del Chod (Capo di stato maggiore della Difesa nda), Enzo Vecciarelli, di voler tenere per sé anche il Comando Operativo di Mare Sicuro, sottraendolo al Csm (Capo di stato maggiore, nda) della Marina, l'ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone». Nave Durand de La Penne con l'elicottero che avrebbe potuto raggiungere i pescherecci minacciati dai libici fanno parte proprio della missione Mare Sicuro. Anche il generale Luciano Portolono, che non è una mammoletta, alla guida del Comando operativo interforze deve essere stato automaticamente informato della crisi, ma lungo la catena di comando spetta a Vecciarelli tenere i contatti con i vertici politici. Paglia si chiede se «il premier Giuseppe Conte, che ha sempre inutilmente accanto il suo consigliere militare, l'ammiraglio Carlo Massagli, non ha proprio nulla da eccepire, salvo ora affidarsi all'Aise (i servizi segreti per l'estero, nda) per liberare i nostri pescatori?».
Dubbi e critiche alla politica degli ex alti ufficiali
Non pochi ex alti ufficiali delle Forze armate, dopo aver letto la prima puntata di Panorama sul mancato intervento della Marina, hanno espresso forti dubbi. Un ammiraglio, che è stato ai vertici, conferma che «gli ordini li danno i politici del governo, che poi si nascondono dietro gli esecutori». Per il generale a riposo Silvio Mazzaroli, che venne silurato dall'allora premier Massimo D'Alema per aver detto la pura verità sulla nostra misisone in Kosovo, la vicenda dei pescatori «è una delle tante vergogne del nostro Paese. La storia dei Marò non ha insegnato nulla». Il generale non più in servizio, Francesco Ippoliti, esperto di intelligence ribadisce che «mai un comandante avrebbe agito di propria iniziativa in una situazione di crisi come quella dei pescatori. So per esperienza personale che in casi del genere i vertici militari informano sempre il ministro della Difesa».
Un altro ex all'apice della catena di comando sostiene che «se la Marina avesse veramente deciso tutto da sola andrebbe rimosso il Capo di stato maggiore».
Il generale paracadutista, Marco Bertolini, che ha comandato i corpi speciali, non colpevolizza la Marina, ma il sistema: «Come sempre accade, il cerino in mano resta ai militari, che sono però vittime della mancanza di disposizioni precise su quello che devono fare in caso di necessità». Bertolini parlando dei pescherecci crede che «a una nave francese o inglese non sarebbe successo lo stesso, non perchè i loro comandanti sono più decisionisti e preparati, ma perchè sanno di poter operare con un chiaro mandato del loro governo che li coprirà comunque». Secondo il veterano delle missioni all'estero «c'è l'idea malsana in ambito politico (ma devo dire che un po' per volta si afferma anche a livello militare) secondo la quale le armi servono come deterrenza, non come strumento per conseguire uno scopo. Ma se servono solo a spaventare e non vengono mai utilizzate si traducono in un bluff, che prima o poi viene scoperto da chi invece è abituato a usarle».
La Marina difende la decisione di non intervenire
L'ammiraglio Cavo Dragone continua a difendere la scelta di non intervenire, «che si ferma a livello operativo, questo lo sottolineo e lo evidenzio in giallo» appoggiandola «al 120%» in un'intervista con il direttore di Limes. Una decisione che appare discutibile se non pavida pure nelle chat dei veterani della Marina. Nonostante sia stato coinvolto anche l'ammiraglio Paolo Treu, comandante della squadra navale (Cincnav) considerato un «guerriero». Una fonte interna sostiene l'esistenza di una recente «direttiva della Difesa che dispone di non intervenire nell'area a meno di un uso sproporzionato della forza da parte libica». Ogni regola d'ingaggio per qualsiasi teatro, però, prevede un uso proporzionato della forza. La faccenda è sicuramente più delicata con degli ostaggi di mezzo, ma proprio per questo motivo va informato il vertice politico. In passato ci sono stati interventi simili, anche al largo della Libia e il governo era perfettamente al corrente.
Interrogazioni parlamentari e la Ue se ne lava le mani
Non è un caso che Francesco Scoma di Italia Viva, che fa parte della maggioranza, chieda con un'interrogazione urgente «ai ministri competenti (Difesa ed Esteri nda) e al Presidente del Consiglio di fare chiarezza e di riferire in Parlamento». Il deputato si domanda se «è mancato il coraggio o è mancato qualcuno che dicesse di intervenire. Chi ha dato l'ordine di non intervenire militarmente e di passare alla via diplomatica per liberare gli equipaggi dei pescherecci in mano da più di due mesi delle milizie libiche del generale Haftar?».
Anche i senatori di Fratelli d'Italia, Adolfo Urso e Isabella Rauti, vogliono sapere «per quali motivi la Marina militare italiana non sia intervenuta e quale siano stati gli ordini, da chi impartiti e con quale sequenza» e «perché il Governo non abbia fornito al Parlamento alcuna versione sul mancato intervento limitandosi ad addossare la responsabilità ai pescatori».
Manlio di Stefano, sottosegretario agli Esteri, ha aggiunto un altro tassello: «Ci dovremmo interrogare su come evitare che questo succeda di nuovo, perchè tecnicamente c'è una ragione per cui è accaduto». L'esponente grillino del governo non ha voluto spiegare di cosa si tratta a Panorama fino a quando i pescatori sono detenuti in Libia.
A livello europeo, in riposta a una richiesta di intervento dei rappresentanti della Lega a Strasburgo, Josep Borrell, l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha risposto picche. «È importante sottolineare che l'assistenza consolare diretta per i cittadini Ue» ha scritto Borrell riferendosi ai pescatori, «rientra nelle competenze degli Stati membri. Vi invito pertanto a contattare direttamente le autorità italiane». Più o meno la stessa risposta indecente che era stata utilizzata per il caso dei nostri due marò prigionieri in India dall'allora rappresentante Ue inglese, Catherine Ashton. L'europarlamentare siciliana della Lega, Annalisa Tardino, accusa l'Unione europea di lavarsene la mani con «un atteggiamento da Ponzio Pilato».
Alle famiglie non basta una telefonata
Le famiglie dei prigionieri hanno deciso di organizzare ogni giorno dalle 10 alle 12 a Mazara del Vallo una manifestazione per chiedere la liberazione dei loro cari (guarda il video). L'impressione è che dopo averli tenuti buoni con una telefonata ai marittimi a Bengasi (pubblicata dal sito di Panorama) organizzata dall'unità di crisi della Farnesina, non sia arrivata, la notizia promessa della liberazione. L'associazione progetto Isola di Mazara ha lanciato l'ennesimo j'accuse con un titolo inequivocabile: «Troppo poco, non basta». Sul sequestro «sembra calato il silenzio. Da qualche giorno l'attenzione sulla questione risulta essere sotto traccia, i media non se ne occupano più con il dovuto scrupolo così come hanno mostrato nelle settimane passate. I politici di opposizione dopo una levata di scudi anch'essi sembrano battere in ritirata. Il governo come al solito non fa trapelare nulla se non il reiterato refrain della serie "stanno tutti bene"» si legge sulla pagina Facebook dell'associazione. La conclusione suona amara: «Non è difficile immaginare come ci guardano dall'estero in questo preciso momento, noi siamo stati e saremo sempre bollati come la solita Italietta "pizza spaghetti e mandolino"».
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