Il Piano Nazionale di Ripresa (in giro)
I mille dubbi sul piano del governo sui progetti legali al Recovery Fund. Un perfetto e abituale mix di annunci ed aria fritta, all'insegna della confusione
Si chiama "Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza", ma forse dovremmo ribattezzarlo semplicemente "Piano Nazionale di Ripresa in giro". Anche perché, se la "resilienza" è la capacità di far fronte alla crisi facendo leva su sviluppo e crescita, nel progetto del governo non c'è traccia né dell'uno né dell'altra.
In compenso, dopo quattro mesi di profonda riflessione, i fondi europei verranno sparpagliati in 54 progetti generici e contraddittori. Dov'è la scossa per l'economia? Perché solo 40 miliardi su 209 sono destinati ai nuovi investimenti? E perché soltanto 27,7 miliardi per le infrastrutture?
E ancora: scopriamo che quasi la metà del malloppo europeo verrà spesa per la "transizione ecologica". Per carità temi importanti, ma siamo sicuri che rappresenti la priorità? E, se la missione verde è così cruciale, perché se ne parla solo in 5 paginette su 125, per giunta senza mai entrare nei particolari? Ancora una volta dalle stanze del potere non riescono a mettere nero su bianco obiettivi chiari e precisi: siamo ancora alle idee all'acqua di rose. Per dire: si spendono 10 miliardi per la scuola, ma su quali progetti? "Ridurre le disparità di genere". Tutto qua? Ebbene sì. Tutto qua. Non una parola, sul lavoro, sui centri per l'impiego, sul fisco, sulla riforma della pubblica amministrazione, sulla lotta alla burocrazia. Come possa l'economia decollare con ricette del genere, è un mistero della fede che nessuno riesce a dipanare.
Ma nel carteggio troviamo un mistero ancora più grande, su cui si combatte l'ennesima guerra intestina della maggioranza: chi gestisce i soldi europei? Ebbene, neanche nel più cupo degli incubi avremmo immaginato una tale deriva: un soviet supremo con al vertice la troika ministeriale (Conte, Gualtieri, Patuanelli) e alla base una selva di taskforce, comitati esecutivi, manager e sottomanager, insomma un'entità cesaristica, di fatto completamente slegata dal controllo del parlamento e dello stesso governo. Addirittura si parla di "personale di società pubbliche o partecipate" per amministrare i fondi: praticamente si candidano a ricevere denaro, ma anche a distribuirlo. Arbitri e giocatori nello stesso tempo, non si sa bene in base a quali criteri.
Dunque, dopo decine di taskforce fallite, e disfatte burocratiche sugli aiuti economici, le prospettive non sono negative: sono agghiaccianti. Cosa abbiamo fatto di male per meritarci questo? A chi stiamo affidando i soldi europei? E' troppo difficile fare come all'estero, dove la responsabilità politica ed economica dei fondi ricade semplicemente sui ministri? Come facciamo a fidarci della Spectre di Palazzo Chigi, che nei mesi scorsi, quando si è trattato di selezionare gli uomini migliori, ha scelto addirittura Domenico Arcuri? Insomma, se l'Italia si avvia a toccare il fondo, a quali fantastici personaggi stiamo affidando il compito di toccare il Fund?