Premierato italia
(Ansa)
Politica

La gran cassa dell’appello alla Resistenza contro i barbari

Al Senato arriva il primo via libera al percorso che dovrebbe portare all’elezione diretta del premier. Tra l’indignazione della sinistra…

Si scrive premierato, si legge dittatura, a voler dar retta ai titoli dei giornali di oggi.

Mentre il Senato accende la prima luce verde di un lungo e periglioso percorso che in teoria dovrebbe condurre, probabilmente tramite referendum, alla elezione diretta del premier, già s’alzano i decibel della gran cassa partigiana. Che ancora una volta, seguendo triti e ritriti spartiti, arruola alla Resistenza contro i barbari al governo.

Così Repubblica titola “Il Fronte della Costituzione”, come a voler dire che il centrodestra si è posta al di fuori di essa, come dice anche Elly Schlein parlando di “riscrittura autoritaria della Carta”. Questo l’incipit del Domani: “Picconata alla Costituzione”. E La Stampa intervista il presidente emerito della Consulta, Ugo De Siervo, che dipinge scenari foschi: “Il capo del governo dominerà”.

In realtà, tornando con i piedi per terra, l’elezione diretta del premier esiste in Gran Bretagna e anche nella Francia tanto osannata dai gauchisti nostrani, e nessuno ha mai visto venti dittatoriali a Londra o Parigi in tempi recenti. Certo, non si tratta di un testo perfetto, e già in alcuni ambienti leghisti si chiedono modifiche: la riforma è certamente migliorabile. Anche perché è complicato immaginare un’elezione popolare del capo del governo che non si accompagni a una profonda riforma elettorale. Dunque ci si aspetta che Giorgia Meloni, prima di affondare il colpo, sappia prendere bene la mira, con un’opera di cesellatura che smussi le asperità di questo provvedimento.

Ma, detto questo, il ritornello della deriva democratica ha fatto il suo tempo. Non solo perché il premierato non è un prodotto inedito tra le democrazie occidentali, anzi. Ma anche perché, nel nostro sistema, i colpi di mano, seppur improbabili, devono comunque passare dalla sacrosanta tagliola del referendum confermativo. Ovvero sia: ogni volta che si tocca la Carta Fondamentale, è il popolo che deve esprimersi (sebbene nel referendum confermativo non sia previsto quorum sull’affluenza). E’dunque in ogni caso prevista un’ulteriore vidimazione democratica sui provvedimenti costituzionali già passati da una doppia lettura parlamentare.

Si dirà: cambiare la Costituzione a maggioranza è comunque inelegante. Può darsi, ma lo hanno fatto tutti, negli ultimi decenni. Qui il problema serio è la memoria corta delle opposizioni. Che, a partire dalla riforma del titolo quinto della Carta, datata 2001, non si è mai fatta problemi quando c’è stato da riformare la sacra Legge a colpi di maggioranza. E non sempre per nobili motivazioni. Basti pensare al famigerato taglio dei parlamentari, approvato al grido di “uno vale uno” per fare una cortesia ai populisti pentastellati in cambio dell’accordo di governo. In pratica si trattò di un misero baratto: Costituzione in cambio di poltrone.

Questo significa che il testo sul premierato risolverà tutti i nostri problemi e trasformerà l’Italia nel paradiso della governabilità? No, per carità. Non siamo in paradiso e forse non lo saremo mai. Ma non prestate orecchio a chi sostiene che siamo già scesi all’inferno dell’autoritarismo.

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Federico Novella