Prodi sfiudica la Schlein con il «passo del gambero»
L'abbraccio dell'ex presidente del Consiglio alla neo segretaria sembra più un commissariamento che sa molto di antico
Quando 10 mesi fa Elly Schlein vinceva a sorpresa le primarie del Pd sia chi la votò che chi osservava la politica da distanza aveva in cuor suo la convinzione, o speranza, di trovarci all’inizio di una fase nuova della sinistra italiana. Elly la prima donna, Elly la giovane, internazionale, con l’armocromista, attenta come nessuno prima di lei alla questione dei diritti. «Non ci hanno sentito arrivare» disse allora la neo segretaria Pd al suo popolo convinta di preparare una sorta di rivoluzione rumorosa per il Paese… 10 mesi dopo siamo a, udite udite, Romano Prodi. Quella che doveva essere una rivoluzione rumorosa si è trasformata nel ritorno del politico più soporifero degli ultimi 30 anni (e non solo per il tono di voce). Prodi, il due volte Presidente del consiglio, la prima nel 1996 e la sfiducia del 1998 la seconda qualche anno dopo. Due esperienze fallimentari di cui ricordiamo delle autentiche perle, una su tutte, il via libera al rapporto lira-euro (1936,37 a 1, una delle cose più dannose della storia per le tasche degli italiani). Un uomo sconfitto due volte, la seconda in modo del tutto inatteso da un Berlusconi contro cui venne scatenata contro tutta la potenza della magistratura di sinistra. Non bastò nemmeno quello.
Siamo ormai troppo appassionati di politica per non capire quali siano le dinamiche che muovono il Partito Democratico, dinamiche sempre identiche oltre che autolesioniste. E l’abbraccio Prodi-Schlein di ieri ha alcuni significati chiari come il sole.
Il primo è che la dirigenza, le correnti interne che non sono scomparse, hanno capito che la povera Elly da sola non ce la fa. I sondaggi, dopo la fiammata iniziale, sono ai minimi storici, sempre sotto il 20%, anni luce dietro Fratelli d’Italia. Negli uffici, nelle chat segrete, del Nazareno si legge la paura della scoppola alle prossime europee; scoppola che segnerebbe non solo la fine della breve carriera politica della Schlein ma forse il punto più basso della sinistra in Italia con il rischio di trovarsi davanti ad una intera legislatura di governo Meloni: la più pesante delle batoste possibili.
Il secondo significato è che il Partito Democratico, se deve giocarsi la carta di Prodi, è davvero un soldato senza più armi. Tirar fuori dalla cantina un fucile scarico da 25 anni è davvero il segnale della resa, tanto quanto lo sventolare una bandiera bianca. Soprattutto è l’immagine di un partito che non guarda avanti, ma sia affida al trapassato remoto.
Quando Prodi veniva sfiduciato la prima volta Giorgia Meloni era fresca di elezione come consigliere provinciale a Roma ed ancora emerita sconosciuta a livello nazionale. Matteo Salvini invece girava per i mercati di Milano a volantinare per la Lega Nord di Umberto Bossi. Questo per dire quanto sia andato avanti il centrodestra: volti e facce nuove. Ognuno può avere la sua opinione sui due ma di sicuro sono facce che 25 anni fa non esistevano.
Il Partito Democratico invece ha deciso di commissariare la Schelin con Romano Prodi. Qui siamo oltre il gambero che cammina all’indietro; siamo oltre al revival. Siamo alla fine.
Il Pd trovi la forza di guardare avanti, per il bene di tutti.