Il ritorno al potere di Renzi
Ecco i veri motivi per cui l'ex premier è tornato in campo e gestirà il Governo dell'Inciucio Pd-M5S. Questione di poltrone e potere
Quando Matteo Renzi decise di voler «cambiare passo», soffiando la poltrona di presidente del Consiglio a Enrico Letta dopo aver lanciato una settimana prima l’hashtag #enricostainsereno, la prima cosa che fece fu sostituire tutti i vertici delle aziende partecipate dallo Stato. In un colpo solo caddero i manager di Eni, Enel, Ferrovie, Poste, Terna, Rai, ecc. ecc. Si trattò della rottamazione di un’intera classe dirigente, di quelli che un tempo, in maniera un po’ sprezzante, venivano chiamati i «boiardi di Stato». Che avessero fatto bene o male, che fossero stati nominati da governi di destra o di sinistra, fu per Renzi irrilevante. Non essendo stato nessuno di loro nominato da lui e dunque non dovendo riportare a lui, preferì pagare liquidazioni milionarie pur di sostituirli. In tutto l’Espresso calcolò una buonuscita superiore ai 100 milioni di euro, soldi spesi per avere un controllo ferreo sulle società dello Stato e dunque per avere un pieno potere sui posti chiave dell’economia italiana.
Il blitz di Renzi, poche settimane dopo il suo insediamento a Palazzo Chigi, fu certo inaspettato, anche perché alcuni dei «licenziati» di Stato potevano vantare performance aziendali da premio Oscar, ma faceva certamente parte di un piano che ha consentito all’ex segretario del Pd di esercitare la sua influenza sulla vita del Paese anche dopo aver lasciato la presidenza del Consiglio.
Dagli alti incarichi alla guida delle agenzie di sicurezza del Paese fino ai vertici delle aziende pubbliche, tutto fu deciso in quel breve periodo e così, con una rapidità incredibile, Renzi conquistò l’Italia, estendendo il suo potere ben oltre rispetto a dove erano arrivati Romano Prodi o Silvio Berlusconi. Gli effetti delle nomine volute dall’ex segretario del Pd, nei servizi e nelle forze dell’ordine, così come nelle società controllate dal Tesoro e nelle istituzioni, si sono misurati anche dopo l’addio a Palazzo Chigi del fiorentino e forse si sentono anche adesso.
Se abbiamo citato il blitz messo a segno da Renzi ormai cinque anni fa è perché Formiche.net, un sito di informazione molto addentro alle cose politiche, ha calcolato che nel prossimo anno ci saranno circa 500 nomine da attuare. Chi guiderà il Paese dovrà infatti decidere i prossimi vertici di Eni, Enel, Leonardo, Poste, Monte dei Paschi di Siena (dove il Tesoro è diventato nel frattempo, proprio grazie a Renzi, azionista di riferimento), ecc. ecc., per un totale di 40 consigli di amministrazione da rinnovare, in società che in Borsa hanno una capitalizzazione pari a 160 miliardi. Senza contare, poi, che presto ci saranno da sostituire i comandanti di diverse forze dell’ordine, a cominciare da quello dei carabinieri. Nel 2022, inoltre, il Parlamento sarà chiamato a decidere chi dovrà essere il prossimo presidente della Repubblica, visto che Sergio Mattarella, a differenza del predecessore, non pare interessato a fare il bis.
Insomma, chi darà vita al prossimo governo avrà la possibilità di influire pesantemente sui destini di questo Paese. L’uomo forte della maggioranza che verrà, sia che spunti dalle attuali Camere o che arrivi da prossime elezioni, avrà dunque il potere di incidere in misura rilevante su chi dovrà fare che cosa. Nominare un «proprio» manager alla guida di una grande azienda o insediare uomini di fiducia nei gangli vitali delle istituzioni significa infatti avere in mano il Paese, anzi averne il controllo, che si stia o meno a Palazzo Chigi. È ciò che Renzi ha fatto anche dopo essere stato costretto alla dimissioni da presidente del Consiglio a seguito della batosta al referendum. E, molto probabilmente, è ciò che si prepara a fare con il possibile nuovo governo fra Cinque Stelle e Pd. Perché mentre sui giornali si discute di politica, dietro le quinte c’è chi esercita il potere.
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