Starlink marcia in più per la Difesa. Occhi sul Sahel per il Piano Mattei
Coi satelliti di SpaceX potremmo colmare il ritardo che accumulano i progetti europei, giocare sul tavolo Ue come su quello Nato e conquistare centralità nel Mediterraneo. Infrastruttura straniera, ma dati al sicuro
Scandalo sul nulla. Opposizioni e sinistra insorgono per la trattativa tra il ministero della Difesa, il governo e la Spacex di Elon Musk. Una agenzia Bloomberg a poche ore dal blitz di Giorgia Meloni a Mar-a-Lago, dimora di Donald Trump, lancia la notizia di un accordo da 1,6 miliardi di dollari per utilizzare i servizi dei satelliti di Starlink. La tempistica è assai sospetta, visto che in Florida la Meloni non ha incontrato Musk e soprattutto la notizia non era certo uno scoop. Più giornali, compreso il nostro, nel corso del 2024 hanno raccontato delle trattative in corso. E visto che la firma era già data come probabile dopo l’insediamento di Trump alla Casa Bianca, viene il dubbio che chi ha suggerito la notizia volesse ottenere l’effetto opposto: cioè quello di far saltare l’accordo. Le reazioni infatti non sono mancate e descrivono uno scenario di totale perdita di sovranità, quasi di accordo sottobanco con un privato. Le cose ovviamente non stanno così anche se ogni scelta (soprattutto quelle tecnologicamente disruptive) ha sempre qualche lato meno positivo. Il possibile accordo (che al momento ci risulta più vicino al miliardo di euro) toccherebbe esclusivamente la rete di dati militari e non civili. Il sistema Starlink, per capirsi, è stato utilizzato durante tutto il primo anno di guerra in Ucraina con coordinate Nato per sostenere l’esercito di Kiev che nel 2022 era praticamente all’età dell’analogico. Chi oggi si straccia le vesti contro il governo e Musk, due anni fa tesseva l’elogio del magnate in quanto salvatore degli eroi ucraini. La tecnologia è la stessa. Solo adesso molto più evoluta, grazie all’esperienza sul campo.
Il conglomerato dello spazio in mano al tycoon prevede di arrivare a circa 42.000 satelliti in orbita per collegare in banda larga tutto il globo. Per capire la portata del progetto basti pensare che a oggi sono circa 8.000 i satelliti targati Starlink già «piazzati» e che fra un anno potrebbero già essere 10.000. Siamo davanti a una possibile svolta epocale consentita anche dal passaggio dai satelliti geostazionari a quelli di nuova generazione. I primi sono posizionati a circa 36.000 chilometri dalla Terra e offrono un’ampia copertura con forti limiti dovuti però all’elevata latenza (il tempo impiegato dai dati per raggiungere la destinazione indicata) e una bassa capacità di banda. I secondi invece sono a una distanza compresa tra 160 e 1.000 chilometri dalla Terra e questa vicinanza riduce drasticamente il tempo dei segnali per viaggiare da e verso il satellite. L’obiettivo è creare un link che colleghi tutti i 42.000 satelliti programmati attraverso i Laser inter-satellite link (Lisl), che svolgono un ruolo cruciale nella creazione di una rete efficiente. I terminali sono fondamentali per l’interconnessione all’interno della costellazione e garantiscono comunicazioni spaziali globali con efficienza e connettività senza precedenti e decisamente superiori rispetto ai collegamenti a radiofrequenza (Rf). Su questo tema specifico c’è un contenzioso con Tim. Non tanto perché servano a Starlink le attuali frequenze per entrare sul mercato, ma la connessione alle attuali servirà a creare la rete unica lungo il globo. E una volta avvenuta ci sarà la perfetta fusione duale. Cioè tra tecnologia militare e civile. Il che al momento ci riporta al possibile accordo con l’Italia e quindi al tema militare. L’Italia - questo è vero - userebbe tecnologia Usa di cui non ha il possesso. Il che non significa che i dati siano alla mercé. Tanto meno di un privato perché le scelte di Starlink sono al vaglio del Pentagono. Come evidenziato lo scorso anno anche da Guido Crosetto usare i satelliti di Musk ci consentirebbe di avere comunicazioni criptate militari in tempo breve, aggiungiamo noi, rispetto ai due progetti in essere. Uno si chiama Irsi 2 ed è europeo. L’altro più piccolo e italiano porta il nome dei satelliti Sicral. In entrambi i casi si tratta di satelliti militari che garantiscono connettività sicura con minore latenza e banda più larga. La costellazione è agli inizi. I costi sono tra i 6 miliardi e i 10. E la tecnologia di base francese e tedesca sarà operativa dal 2030. Pochi satelliti per tutte le esigenze militari Ue. Sicral, poi, è in ritardo e non sta riuscendo a soddisfare le richieste dello Stato maggiore. Con Starlink, ad esempio, sarà possibile connettere in tempo reale i militari all’estero, le basi sul territorio e tutte le navi della Marina. Non solo. Starlink offre un vantaggio strategico. Copre già l’Europa e un pezzo del Maghreb. A breve potrebbe soddisfare le esigenze di chi è interessato al Sahel. Chi più di noi lo è? Come si può pensare di lanciare il Piano Mattei senza abbinare il pilastro della sicurezza?
Ecco questi sono i vantaggi. E non sono pochi. Tanto più che il mondo con Trump si muove verso il bilateralismo. Bruxelles e chi tutela le cancellerie Ue, come il Colle, teme che l’Italia possa tenere il piede in due scarpe. Quella stretta della Difesa comune Ue e quella diretta con Musk e il Pentagono. Noi non ci vediamo nulla di male. Anzi la mossa è intelligente. Soprattutto perché l’investimento è basso (anche fosse 1,6 miliardi) e ci consente da un lato di andare avanti con i progetti Ue e, dall’altro, di entrare in partite Nato che con Trump sarebbero a rischio. Ricordiamo la continua richiesta di portare le spese militari al 2% del Pil. Il mondo è veloce e attendere il 2030 potrebbe essere tardi. Certo c’è una postilla. L’utilizzo di Starlink in ambiti civili aprirebbe tutt’altra pagina.