Lo Stato si cimenta a fare l’imprenditore. Con pochi soldi
Da ex Ilva a Tim fino a Ita. Non esistono giochi a somma zero nella politica industriale mentre il governo dovrà tenere conto del debito pubblico e del crescente costo. Ci sono infatti le incertezze del contesto internazionale: una prolungata crisi energetica, un crescente protezionismo americano attraverso dazi e aiuti di Stato alle imprese e il rialzo dei tassi d’interesse della Bce potrebbero presto iniziare a creare problemi.
Il governo italiano ha fatto bene a mettere sotto amministrazione controllata la raffineria della Lukoil di Priolo. Siamo in un momento di difficoltà nell’approvvigionamento dei fossili e mettere sotto tutela una raffineria di proprietà russa è una necessità. Il proposito di venderla, con le condizionalità della golden rule, è altrettanto opportuno. Non avrebbe senso l’amministrazione controllata oggi se l’impianto andasse domani ad un compratore straniero senza alcun coinvolgimento italiano. Un’altra mossa importante del governo è stata quella di prevedere un fondo di compensazione per le aziende interessate dall’applicazione del golden power. Se un’azienda viene impossibilitata dallo Stato a ricevere un finanziamento o una partecipazione estera per ragioni strategiche è bene che il pubblico compensi con proprie risorse per evitare la perdita di competitività delle aziende italiane coinvolte nel procedimento di protezione. Queste erano le buone notizie sul fronte della politica industriale che si accompagnano a rischio e notizie meno positive.
Sono ancora molte le questioni aziendali in cui è coinvolto in qualche modo il governo. Da Monte dei Paschi a Ita Airways, da TIM e Open Fiber ad Acciaierie Italia (Ex ILVA) l’esecutivo è interessato ai passaggi di controllo della proprietà oppure è direttamente azionista o creditore di queste società, ma le casse dello Stato italiano non sono abbastanza corpose per fronteggiare tutti i dossier. Cassa Depositi e Prestiti ha speso troppo per le acquisizioni negli scorsi anni, in particolare per Aspi (Autostrade) dopo il crollo del ponte Morandi per soddisfare il diktat populista dell’allora Presidente Giuseppe Conte, mentre altre “amministrazioni industriali” sono troppo deboli, sottocapitalizzate e burocratiche. È difficile fare lo Stato-imprenditore o lo Stato-finanziatore senza adeguate risorse economiche e di capitale umano. Il rischio è pertanto quello di operazioni in perdita per lo Stato, con aggravamento del debito pubblico, oppure di depauperamento dei valori azionari di tali aziende poste sotto l’influenza statale o ancora di ritardi nella realizzazione di opere e attività strategiche. L’esempio principale di questa debolezza è proprio quello della rete unica nazionale. L’iniziale idea di un’Opa di Cdp su Tim si è dimostrata irrealizzabile per mancanza di cassa e ora il governo dovrà scegliere cosa fare: se si risparmiano risorse finanziare evitando l’acquisizione completa, si sconterà un problema occupazionale che un’azienda indebitata e strutturalmente sovraccarica come TIM dovrà scontare una volta scorporata la rete. Discorso simile per l’ex ILVA, dove il
Ministro Urso ha annunciato che non si darà seguito alla nazionalizzazione prevista per il 2024. Acciaierie d’Italia, il veicolo statale oggi socio al 38%, non salirà al previsto 60%, anche in questo caso per ragioni di risorse sia finanziarie che manageriali. Si cercano partner industriali privati che mandino in minoranza Arcelor. Nel frattempo, però, la capacità produttiva dell’acciaieria è ridotta proprio per volontà di Arcelor, che ha interesse a chiudere il mercato e tenere alti i prezzi dell’acciaio, con pregiudizio di fornitori, lavoratori e clienti dell’acciaieria di Taranto.
Insomma, non esistono giochi a somma zero nella politica industriale mentre il governo dovrà tenere conto del debito pubblico e del suo crescente costo. Ci sono infatti le incertezze del contesto internazionale: una prolungata crisi energetica, un crescente protezionismo americano attraverso dazi e aiuti di Stato alle imprese e il rialzo dei tassi d’interesse della BCE potrebbero iniziare a creare problemi al governo nella gestione delle finanze dalla metà del prossimo anno. Non c’è da dimenticare infatti l’enorme peso del debito pubblico sull’economia italiana e che questo, combinato con gli altri rischi nazionali e internazionali, tornerà probabilmente presto a spingere l’Italia, per esigenze di mercato o per pressione delle istituzioni europee, verso una politica più restrittiva che nella pratica significa taglio della spesa pubblico oppure aumento delle tasse. Un restringimento che potrebbe iniziare già dalla prossima legge di bilancio e che potrebbe ridimensionare ulteriormente le capacità di politica industriale dello Stato.