In Ucraina sta vincendo il realismo
I Paesi Ue inviano le armi ma non possono staccare la spina del gas. Al di là del bla bla elettorale, l’economia del Vecchio Continente è in così in seria difficoltà che non può permettersi altri contraccolpi al Pil e ai debiti pubblici
Alla fine gli Stati europei hanno seguito la strada del realismo. Ogni leader cerca di raccontarla agli elettori come vuole e come può ma il risultato dopo tre mesi di guerra in Ucraina è chiaro: invio di armi e nessun embargo energetico. Le due correnti principali del dibattito pubblico, il pacifismo interessato o ingenuo e l’economicismo, escono ridimensionate dai fatti.
Le sanzioni economiche non hanno fermato l’attacco di Putin e non lo faranno nel breve; numerosi paesi europei non posso rinunciare al gas russo; l’avanzata russa può fermarsi soltanto con le armi e il sostegno militare all’Ucraina. La telefonata tra Draghi e Putin è un’evidenza di quanto detto, con il leader russo che rassicurava l’italiano sulle fonti energetiche, segno che non c’è una reale volontà europea di rompere con le forniture. Anche perché lo scenario economico è in peggioramento. I settori industriali tengono ancora sul piano dei bilanci, ma le difficoltà nella logistica e nell’approvvigionamento delle materie prime creano difficoltà alle aziende. Di conseguenza, i prezzi sono in rialzo e l’inflazione galoppa per il consumatore finale. La guerra e prima gli stimoli fiscali per reagire al lockdown rendono difficile compensare la spinta inflazionistica con la crescita, almeno in Europa. Declina il potere d’acquisto degli stipendi e il rischio stagflazione è concreto.
Non è più rosea la situazione della finanza pubblica. Gli Stati europei sono singolarmente molto indebitati, Italia in testa, e la Banca Centrale Europea non può proseguire, dopo anni di espansione dei bilanci, programmi di acquisti dei titoli pubblici senza limiti. In uno scenario inflazionistico, la BCE non può che alzare con moderazione i tassi. Anche se non è certo che il restringimento della base monetaria possa risolvere il problema dell’approvvigionamento delle materie prime che è strutturale e non finanziario. Questo restringimento però significa scoprire i governi sul piano della spesa in interessi e dello spread. La coperta è corta.
C’è poi il problema del controllo fisico delle materie prime. Petrolio, gas, acciaio, grano, cereali e altre materie fondamentali per l’elettronica sono in Russia o nei territori controllati dall’armata rossa, come il Donbass. Fino a che enormi disponibilità di materiali fondamentali restano nelle mani del Cremlino, Putin può giocare a cane e gatto con l’industria europea. Un ritorno dei prezzi al livello di due anni fa è impensabile nel medio termine, anche se la guerra dovesse cessare. Si aggiunge in questo contesto la variabile Cina, a cui Mosca si avvicinerà.
Il regime cinese è in difficoltà: la crescita economica è in netta frenata, la pandemia non è ancora superata, il partito comunista cerca di riaffermare il proprio potere arbitrario sulle province più ricche e tecnologiche, anche attraverso lockdown stringenti. A breve, però, Pechino sarà costretta ad allentare le restrizioni e a spingere i consumi con la spesa pubblica. Un fattore che spingerà ulteriormente a rialzo i prezzi delle materie prime e aumenterà le complicazioni logistiche. Una stagflazione in Europa significa non soltanto la riapertura della questione politico-sociale, con potenziale riaccensione di forme populistiche e radicali, ma anche la vanificazione o quasi degli effetti del Next Generation EU.
I leader europei dovrebbe rilanciare: mutualizzare i debiti, defiscalizzare i settori industriali, favorire il reshoring della produzione sul piano fiscale e burocratico, rivedere la pianificazione green che contribuisce al consumo di materie prime (e quindi oggi alla crescita dell’inflazione), preparare un piano per una possibile nuova e massiccia ondata migratoria dall’Africa. Nell’ultima crisi finanziaria, quella del 2008-2009, l’Unione Europea si è mossa con eccessiva lentezza e con scarsa efficacia. Tanto che il divario tre UE, USA e Cina è aumentato a vantaggio dei due colossi. Spesso Bruxelles ha una impostazione troppo dirigista e burocratica, quando invece dovrebbe lasciare più libere imprese e lavoratori europei. E dovrebbe farlo velocemente, prima che sia troppo tardi.