La scomparsa di Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale
Il ricordo del costituzionalista, la semplicità accattivante del suo pensiero
E’ morto a Milano, questa mattina, all’età di 86 anni, il presidente emerito della Corte costituzionale Valerio Onida: tra i più apprezzati e seguiti costituzionalisti italiani, aveva coniugato all’altissima competenza tecnico-giuridica un indomito impegno civico per i temi che toccavano le corde più profonde dell’appartenenza democratica.
Nel settembre del 2020, intervistato proprio da Panorama.it a pochi giorni dall’appuntamento referendario indetto per approvare o respingere la legge di revisione costituzionale diretta a modificare la Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari, Valerio Onida aveva messo gli elettori in guardia invitandoli a «non cedere agli umori momentanei». E ci aveva confidato che «ridurre il numero dei componenti delle assemblee non introduce squilibri nei rapporti fra organi costituzionali e non ne altera la rappresentatività».
Valerio Onida, Professore emerito di Diritto costituzionale all’Università degli Studi di Milano, di cui è stato ordinario dal 1983 al 2009, era stato eletto giudice costituzionale dal Parlamento in seduta comune il 24 gennaio 1996, divenendo presidente della stessa Corte il 22 settembre 2004 e rimanendo in carica sino al 30 gennaio 2005. Candidato alle primarie del centrosinistra alla carica di sindaco di Milano, nel 2010, aveva raccolto il 13,41% dei voti, dietro al vincitore, l’avvocato Giuliano Pisapia, eletto poi sindaco, e all’architetto Stefano Boeri. Presidente dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia e già alla guida dell’Associazione italiana dei Costituzionalisti, la sua è stata una delle voci più ascoltate e seguite nel panorama politico-costituzionale del Paese. Con lui, nel 1987, l’attuale ministro della Giustizia Marta Cartabia si era laureata in Legge alla Statale di Milano discutendo una tesi dal titolo profetico: “Esiste un diritto costituzionale europeo?”.
Presenza carismatica nel dibattito intorno alla nostra Carta fondamentale, l’ultima “battaglia” giuridica e civica Valerio Onida l’aveva combattuta nell’estate del 2020, per preparare l’appuntamento referendario previsto per il 20 e 21 settembre di due anni addietro: c’era in ballo l’approvazione o il respingimento della legge di revisione costituzionale dal titolo “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”. Si trattava del quarto referendum confermativo nella storia della Repubblica: il testo di legge, approvato in via definitiva dalla Camera l’8 ottobre del 2019, prevedeva il taglio del 36,5% dei componenti di entrambi i rami del Parlamento: da 630 a 400 seggi alla Camera, da 315 a 200 seggi elettivi al Senato. Originariamente previsto per il 29 marzo 2020, il referendum era stato rinviato al 20 e 21 settembre a seguito dell’emergenza sanitaria da pandemia.
Nel giorno della sua morte, Panorama.it intende ricordarne alcuni ragionamenti costituzionalistici che hanno contribuito a fissare la sua profonda fede della carta costituzionale, della quale, come presidente della Consulta, è stato uno dei suoi più attivi custodi.
Si era trincerato dietro un deciso «No, e perchè mai?» l’illustre giurista che dal suo intervistatore era stato additato come titolare di un punto di vista privilegiato, proprio in vista del referendum, sullo stato di salute del Parlamento. Controbattendo che «il contenuto della riforma non mette in gioco valori costituzionali come la democraticità del sistema, il ruolo del Parlamento ed il suo processo di rappresentatività: darei rilievo al fatto che non si tratta di dire “sì” o “no” ad una qualsiasi proposta proveniente dal di fuori delle istituzioni, ma di confermare o smentire una decisione legislativa adottata dal Parlamento, con quattro deliberazioni successive delle due Camere, succedutesi nel corso del 2019». In gioco, ricordiamolo, c’era il taglio dei parlamentari, tramite cui le Camere avrebbero potuto funzionare meglio, e il presidente emerito della Consulta, pur ribadendo che non c’era una vera e propria garanzia di miglior operatività parlamentare, aveva nettamente sostenuto che «indubbiamente il varo della riforma potrebbe essere l’occasione che induca il Parlamento a mettere allo studio e a realizzare altre modifiche, soprattutto dei regolamenti e delle prassi parlamentari, tali da migliorare l’efficienza delle Camere». E da fine giurista Onida aveva anche indicato degli esempi pratici, insistendo, ad esempio, a «modifiche dirette a ridurre i tempi dei dibattiti e degli interventi, a combattere meglio l’assenteismo, a sviluppare il ricorso a commissioni bicamerali che istruissero certi temi». Aveva indicato, appunto, «la Commissione bicamerale per le questioni regionali, prevista già dalla Costituzione, da integrata con rappresentanti delle Regioni e incaricata di esprimere pareri su certe leggi con effetto parzialmente vincolante per le assemblee, secondo una previsione già contenuta nella legge costituzionale del 2001 di riforma del Titolo V della Costituzione, ma mai attuata».
Proprio in occasione della chiamata referendaria, il Presidente Onida aveva indirizzato la sua preoccupazione a che il referendum si collocasse, sostanzialmente, sul crinale politico piuttosto che su quello della teoria costituzionale pura: ed aveva rassicurato i lettori di Panorama.it su un dato imprescindibile, ovvero che quello storico appuntamento per noi elettori «non fosse questione di teoria costituzionale, ma -al contrario- che si trattasse di vedere se vi fossero ragioni di merito per indurre a smentire una decisione da ultimo pressoché unanime delle forze politiche parlamentari, che a mio parere non ci sono.
E la lucidità del giurista a tutto tondo era balzata evidente in un passaggio di quella conversazione illuminante, oltre ogni dato puramente tecnico-giuridico: Onida, da giurista non certo barricato nella torre eburnea del diritto, aveva compreso, che «la comunicazione politica, oggi, passa essenzialmente non più attraverso sedi fisiche di riunione degli elettori, ma grazie ai grandi mezzi di informazione e la rete, onde anche il rapporto fra gli elettori e il “loro” deputato, sempre oggi, ha caratteristiche assai diverse dal passato». In fondo si trattava, in poche battute di rimodulare quel principio di rappresentanza che l’illustre accademico, prima ancora che il Presidente emerito della Corte Costituzionale considerava non passare essenzialmente attraverso un legame personale fra elettori ed eletti, ma attraverso il ruolo necessario dei partiti e delle grandi organizzazioni sociali. Già, la rappresentanza, croce e delizia di generazioni di giuristi e politologi: «non presuppone un controllo stretto da parte degli elettori sull’esecuzione di un preciso “mandato” elettorale vincolante, che fra l’altro impedirebbe di fatto gli incontri e gli accordi politici necessari per governare e per decidere (vige, infatti, il principio costituzionale dell’assenza di vincolo di mandato): la rappresentanza passa attraverso la capacità dei rappresentanti di farsi interpreti della “domanda” politica della società e degli indirizzi politici che ne emergono». Un’eredità di pensiero sulla quale sarebbe opportuno che non calasse il silenzio.
Panorama.it Egidio Lorito, 14/05/2022