Un pomeriggio con il mio amico Marco
Cronaca di un incontro di poco tempo fa. I colori della cravatta. Il sole che entra nella cucina. Il gabbiano che atterra sul davanzale
Marco Pannella da ieri è ricoverato in condizioni gravissime. Ecco l'articolo pubblicato sul numero 15 di Panorama, che racconta un incontro tra due vecchi amici.
Ognuno, di un altro, può testimoniare solo per un pezzo della sua vita, non di tutta, di tutta è impossibile e perfino ingiusto, credo, ma per un pezzo può. O almeno per qualche flash. Era novembre del 1992, un freddo raro per Roma, c'era ancora il vecchio bar Bernasconi di fianco al teatro Argentina e Marco Pannella ordinò una spremuta: "Adesso sono di moda i giusti. Loro sono sempre in buona fede, hanno bisogno di indicare alla plebe chi bisogna impiccare. Non conoscono una delle più belle massime di Pascal : "Chi vuol essere angelo, è bestia...".
Stava calando il freddo anche sul resto d'Italia, in quel 1992, e il sole sarebbe stato oscurato da stormi di angeli per i due decenni successivi almeno. Oggi, 86 anni a maggio, Marco è ammalato, dimagrito, torturato da due tumori e non lascia più la vecchia mansarda romana di via della Panetteria. È allo stremo, dicono. A me non è sembrato. E se aspetta la fine, come tutti aggiungono, pare aspettarla senza eccessiva premura: "Guarda che bei colori la mia cravatta, oro, viola e verde, bella no?". Oggettivamente, faceva cacare. Ce l'aveva però, la cravatta, e se la rimirava con quello sguardo azzurrissimo e ridente: "Non ti piace? E certo, non hai mai capito un cazzo tu".
Me lo aspettavo a letto. Invece stava su, ti abbracciava, ti baciava e stanco o no, smagrito o meno, quel monumento alla democrazia fissava, più che le prossime elezioni, il sole che entrava dalla finestra alta della cucina: "Come splende, che meraviglia! Spostati, dài, guardalo da qui".
Pannella è diverso da Pannella. Aveva sempre fretta e furia. Una guglia, era, ora è un arco rotondo. Gli chiedi timidamente una cosa, una qualsiasi cosa semi-politica, per dire, e lui sgrana gli occhi come per l'osservazione più imbecille: "Sta attento, sta attento, adesso arriva". Chi? Dove? "Il gabbiano, sul davanzale, dovrebbe essere l'ora". E sarà il carisma, allora, o sarà invece che ha un culo pazzesco, dato che questo resta il vero mistero degli uomini fuori dal comune, ma un attimo dopo quel cacchio di gabbiano è arrivato che manco avesse avuto alla zampetta un Rolex.
Così Marco ti riguarda: "Visto, animale?". Il sole, il gabbiano. E pure il vento. Poiché intravvedi, in faccia alla finestra sua, lassù sul vicolo, un terrazzetto con una piccola pianta mezza secca com'è, la quale ondeggia: "Vedi come si muove? Spostati, dài, la vedi o no? Che bel vento, com'è bello il vento!". Non andate fuori strada per questo. Non è un vecchio in bambola, Marco.
Spiegò un tempo al suo amico Stefano Di Michele, e dopo anche a me: "Non faccio quello che faccio per ottenere del potere, noi aiutiamo mostrando non i muscoli, ma il nostro magrore (magrore disse, non magrezza)...trasferiamo la nostra energia immateriale, il nostro spirito". Dei digiuni parlava. Ecco. Era come se fosse arrivato il tempo di nutrire un po' se stesso col sole, il vento o il gabbiano, e la sua urgenza sembrava magicamente proporzionata alle forze che se ne stavano andando. Dopodichè, intendiamoci, quello rompicoglioni è stato e rompicoglioni resta.
Confermami una cosa, gli ho chiesto, te la ricordi quella volta all'Eur? "Ma cosa vuoi che mi ricordi all'Eur con te". Secondo me la ricordava. Secondo lui, era arrivato il momento di scegliere tra un sigarillo alla grappa bianca e una Marlboro rossa. Ne teneva due stecche: "Mica voglio morire" ha tenuto a precisare. C'era il mondo, fuori.
E il mondo di fuori si era già riversato nella mansarda di via della Panetteria quasi che potesse pagare in quel modo opportuno, vale a dire nell'omaggio che è umano rendere alla salute sul precipizio, un debito inestinguibile. Andò, molto giustamente, Matteo Renzi: "Abbiamo scherzato, ci siamo parlati e adesso lo lasciamo ai suoi altri appuntamenti". Andò Silvio Berlusconi: "Mi ha rassicurato. Ha 70 anni di lotta politica alle spalle ed è sicuramente l'uomo politico che più ha dato al suo Paese con le lotte contro tutto quello che gli sembrava ingiusto. Gli sono molto affezionato". Anche Fausto Bertinotti andò per dirgli: "Ti voglio bene". Gli voglio bene, ha detto di avergli detto. E il bello è che era vero.
Due giorni prima del nostro incontro, bloccato lui per come stava, erano andati loro a trovare lui, con un permesso speciale, i detenuti di Regina Coeli. Il giorno di Pasqua. Così gli ho chiesto, tanto per sapere, e lì Pannella si è illuminato: "Mi sono messo due cravatte con i colori che non piacciono a te e a quei ragazzi ho mostrato il sole, il gabbiano e il vento. Ci siamo capiti al volo, come al solito".