Putin, il Papa ed il successore di Assad
La proposta russa mette all’angolo gli Stati Uniti. Se la mossa diplomatica di Putin pagherà è presto per dirlo, ma intanto Mosca passa all’incasso
per LookOut News
Contrordine. Per il momento, in Siria nessun attacco USA all’orizzonte, passa la linea russa: “Consegnerò le armi chimiche. Merito di Mosca, non della minaccia Usa” ha detto Bashar Assad, arrendendosi infine all’evidenza. Con tali parole, e in questo modo plateale, non solo la Russia si aggiudica un importantissimo round a discapito di Washington, ma dimostra al mondo che Mosca è tornata prepotentemente ad essere una superpotenza, capace di tenere testa agli Stati Uniti.
Infatti, mentre Barack Obama tentennava sulla Siria e metteva in pausa la sua guerra per scarsità di vedute e argomentazioni, Vladimir Putin si guadagnava il centro della scena internazionale e sfilava al presidente americano il ruolo di protagonista assoluto della vicenda.
Mosca appare un passo avanti agli USA sulla vicenda siriana. Sarà la presenza strategica nel porto di Tartous, l’ingente mole d’investimenti nel Paese, la fornitura di armi all’esercito siriano (tra cui si sospetta le stesse armi chimiche). Fatto sta che gli Stati Uniti non hanno saputo leggere la vicenda nella sua interezza e la minaccia di un bombardamento “punitivo” appare ancora alla comunità internazionale come un’idea tardiva e approssimativa.
Mentre i russi, che intendono tutelare i loro interessi in Siria, possono fregiarsi di aver letto bene la vicenda e di aver compreso che per “battere” gli Stati Uniti stavolta avrebbero dovuto usare le stesse armi tanto care al loro avversario, ovvero usare anzitutto la comunicazione.
Putin e la lettera del Papa
Un campanello d’allarme che segnalava come le quotazioni dei russi fossero in salita è la lettera dello scorso 5 settembre, scritta nientemeno che da Papa Francesco (chissà come ci sarà rimasto male il Nobel per la Pace) al presidente russo in persona, nella quale il Santo Padre rivolgeva “un sentito appello” a Putin e invocava “abbondanti benedizioni sul Vertice di San Pietroburgo […] e gli impegni della Presidenza Russa del G20”.
Dopo quella missiva, Vladimir Putin riceve e rilancia. Prende carta e penna e, proprio nel giorno clou della discussione sulle sorti del conflitto siriano a Ginevra (12 settembre), invia a sua volta una lettera accorata alNew York Times,in cuiil presidente russo spiega al mondo perché è sbagliato attaccare la Siria e illustra le coordinate geopolitiche della proposta di controllo sulle armi chimiche.
La lettera si chiude con un periodo da consegnare ai posteri, che s’interroga sul perché qualcuno si dovrebbe sentire “eccezionale” e superiore agli altri, con ciò replicando alle affermazioni in tal senso di Obama. Ma Putin fa di più e chiosa tirando in ballo Dio “che ci ha creati tutti uguali”. Un passaggio dove è impossibile non leggere l’ironia sprezzante ancora verso Barack Obama, contemperato però da un’indiretta risposta all’appello di Sua Santità.
In questo modo, Vladimir Putin non solo coglie l’occasione - forse irripetibile - per dare sfoggio delle capacità e delle risorse diplomatiche della Russia (superiori anche alla sua potenza militare) ma raccoglie e capitalizza con sorprendente lucidità e pragmatismo anche il placet del Vaticano, suggellando un inedito “dialogo” tra Mosca e Santa Sede, cui nessuno era preparato.
Del resto, è proprio Papa Francesco l’altro grande protagonista di questi tempi incerti: con le sue imprevedibili mosse e con il suo rompere gli schemi, ci sta dicendo che il mondo è profondamente cambiato e che anche i potenti della terra si devono abituare all’idea di trovarsi all’interno di un processo di mutamento inarrestabile.
Chi sembra averlo capito per primo è proprio Vladimir Putin. Ne consegue che la Russia, in questo momento, sia avvantaggiata rispetto ai suoi concorrenti per la leadership mondiale. Intendiamoci, Vladimir Putin non è affatto un pacifista ma lo stesso cinico e feroce capo di Stato che conosciamo, capace di tutto e di più. E, certo, egli non rappresenta un modello di riferimento per l’Occidente (tantomeno per il Vaticano). Eppure, questa vittoria diplomatica se la può tranquillamente intestare, perché in buona parte è sua.
Le incognite sul futuro della Siria
Come già detto, resta evidente che la trattativa di Ginevra è soltanto un round e ciò che stiamo descrivendo non è certo il finale di partita: la guerra in Siria prosegue e s’intensifica, perciò bisognerà vedere come e se sarà possibile seguire il programma di smantellamento dell’armamentario chimico (e in quali tempi) così come previsto da Mosca, mentre lungo la strada infuria ancora la battaglia tra le brigate ribelli e l’esercito siriano.
Eppure, grazie anche al suo prezioso ministro degli esteri Sergei Lavrov, Mosca ha compiuto un innegabile capolavoro di diplomazia: è riuscita a convincere il Regno Unito a fare dietro front, ad aprire un canale con il Vaticano, a mettere all’angolo in un sol colpo Stati Uniti e Israele (ma anche Arabia Saudita e Francia) e a ritrovare quel ruolo decisivo che mancava da tempo e che ora il governo russo può spendere per i propri interessi.
Vladimir Putin, infatti, è tentato dal fare ancora di più e pensa già ad attuare il piano che sta prendendo corpo in questi ultimi mesi alla Casa Bianca moscovita: gestire in prima persona la transizione del governo siriano. Nel 2014, infatti, Mosca immagina che il presidente Bashar Assad passi la mano (se la guerra lo permetterà), ottenga un lasciapassare per un esilio dorato nella capitale russa e venga sostituito da una personalità che sia espressione della dirigenza militare alawita, che non dispiaccia troppo agli americani.
Il nome che circola in queste ore è quello di Ali Habib Mahmud, già ministro della difesa siriano, che ha defezionato in Turchia grazie all’aiuto della CIA e che, anche per tale ragione, può rappresentare un buon compromesso con Washington.
Forse niente di tutto questo accadrà e tra poche settimane dovremo tornare a parlare di nuovi sviluppi nella guerra che potrebbero minare gli equilibri che si vanno lentamente formando intorno alla Siria. Vedremo.
Di certo, le incognite del conflitto – al netto della fattibilità e della soluzione internazionale sulle armi chimiche – non sono poche e si chiamano: Libano, Turchia, Iran e Israele (quest’ultimo menzionato nella lettera di Putin alNYTcomepossibile prossimo obiettivo dei terroristi). Per non dire Hezbollah e Al Qaeda. Senza contare, infine, che la storia insegna che difficilmente ai dittatori come Bashar Assad spetta un “fine carriera” onorevole.