Quali Paesi cambieranno presidente nel 2018
Dal Brasile a Cuba. Dall’Italia allo Zimbabwe, passando per la Libia. Ecco, mese per mese, gli appuntamenti elettorali e i candidati principali
Dal Brasile a Cuba. Dall’Italia allo Zimbabwe, passando per la Libia. Il 2018 si definisce mese per mese come un anno ricco di appuntamenti elettorali e tanti candidati, alcuni un po’ scontati altri a sorpresa.
Italia
L'Italia ha appena votato il 4 marzo le sue elezioni politiche. Un appuntamento chiave per il Paese che, dopo la dipartita politica del presidente Matteo Renzi e la salita alla presidenza del Consiglio di Paolo Gentiloni, adesso si ritrova spaccato in più parti tra Luigi di Maio del M5s, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. Il M5s primo partito e centrodestra prima coalizione in questa tornata elettorale consegna l'Italia all'ingovernabilità. Tutto è nelle mani del presidente Mattarella.
Sierra Leone
La Sierra Leone va al voto il 7 marzo per eleggere il parlamento e il nuovo presidente. Qui, il nuovo capo dello Stato potrebbe sostituire il capo di Stato uscente Ernest Bai Koroma. Dopo la guerra civile, che ha insanguinato il Paese dal 1991 al 2002 facendo oltre 120 mila morti e centinaia di migliaia di rifugiati e sfollati, l’economia di questo Stato corrotto non riesce ancora oggi a fronteggiare la povertà che lo ha messo letteralmente in ginocchio insieme all'epidemia di ebola che lo ha colpito tra il 2014 e il 2016. Le elezioni quindi potrebbero portare a una svolta.
Russia
Pochi giorni dopo l’Italia, sarà il turno della Russia che va alle urne il 18 marzo. Vladimir Putin è il candidato favorito che corre per il suo quarto mandato. Niente da fare per Alexei Navalny, fondatore del Partito del Progresso, e principale oppositore di Putin, a cui è stato impedito di lottare per la presidenza dalla Commissione centrale elettorale a causa della condanna a suo carico con pena sospesa, che l'ex candidato d'opposizione definisce "motivata politicamente". Navalny, 41 anni, è stato incarcerato tre volte e accusato formalmente di violazione della legge per avere ripetutamente organizzato incontri pubblici e comizi.
Libia
Promesse dal primo ministro Fayez al Sarraj, le elezioni in Libia si dovrebbero tenere a marzo a dispetto di una situazione politica e sociale magmatica. Tra i candidati c’è il generale Khalifa Haftar che ha affermato di rispettare il volere del popolo nel caso venisse eletto. I due leader hanno firmato mesi fa una dichiarazione congiunta impegnandosi a un cessate il fuoco in vista delle elezioni.
Cuba
Sul fronte internazionale, se ieri grazie ad ObamaCuba stava attraversando una delicata fase di disgelo con gli Usa, oggi con il presidente Trump rischia di nuovo la chiusura. Con questo clima d’incertezza il Paese è arrivato al 2018, l’anno che segna la fine del castrismo perché anche Raul, arrivato a 86 anni, lascerà la carica in aprile. Presidente della Repubblica di Cuba dal febbraio 2008, dopo le dimissioni di suo fratello Fidel, morto il 25 novembre 2016, dall'aprile 2011 ha ricoperto anche il ruolo di primo segretario del Partito Comunista di Cuba, il partito dell'isola. Successore designato di Castro, al momento è Miguel Diaz-Canel. Classe 1960, della provincia di Villa Clara, ingegnere elettronico, primo cubano che non ha combattuto sulla Sierra, Dianez-Canel è anche il primo a non vestire divise militari. Lui ha fatto solo la leva obbligatoria di tre anni, nelle unità missilistiche anti-aeree, e anche se ricopre un così alto incarico nel Consiglio di Stato (il massimo organo esecutivo dell’isola), non ha un elevato consenso popolare.
Colombia
Le elezioni presidenziali in Colombia sono state fissate per il 27 maggio, ma non si escludono probabili primarie a marzo in cui i partiti alleati decideranno le personalità da far scendere in campo. Chi siederà nella stanza dei bottoni andrà a sostituire il Nobel per la Pace, Juan Manuel Santos, premiato per lo sforzo di aver posto fine al conflitto civile tra le forze governative e le Farc, durato 50 anni.
Il prossimo leader post Santos, che secondo i sondaggi più recenti lascia il mandato con un punteggio di approvazione di appena due cifre doppie al 12%, si trova forse tra questi tre nomi: il vicepresidente Germán Vargas, che ha rivestito anche le cariche di ministro degli Interni e della Casa, di senatore e presidente del Senato, il capo negoziatore di Santos Humberto de la Calle, su cui punteranno i liberali e Sergio Fajardo, ex sindaco di Medellín e indicato come il più papabile, quale ex governatore della Regione di Antioquia che non ha a suo sostegno alcun partito definibile tale, ma il movimento civico Compromiso ciudadano, ovvero una forza populista dagli accenti ecologisti e progressisti.
Zimbabwe
Nel 2018 si vota anche in Africa: dal Camerun alla Repubblica Democratica del Congo, fino in Madagascar. Ma forse le elezioni più attese sono quelle dello Zimbabwe, in settembre, dove il presidente Mugabe è stato costretto ad abbandonare la politica dopo 37 anni, alla veneranda età di 93 anni. Un despota invecchiato che, prima di essere obbligato a mollare la poltrona, ha tentato di nominare come proprio successore la sua seconda moglie senza che questa avesse la benchè minima legittimità o qualità necessarie a farlo. Adesso il grande favorito è il candidato del partito Zanu-pf, Emmerson Mnangagwa.
Venezuela (e gli altri)
Il 2018 è un anno fondamentale anche per Messico, Paraguay e soprattutto Venezuela. Qui in particolare le elezioni presidenziali sono previste per ottobre e potrebbero portare a ulteriori tensioni. Sull’orlo del default, le forti contraddizioni e le divisioni all’interno della coalizione anti-Maduro rischiano di avvantaggiare notevolmente il presidente. Approvata dall’Assemblea Costituente, la “legge contro l’odio” che condanna fino a 20 anni di carcere chi diffonde messaggi che istigano alla violenza attraverso televisione, radio o social media ha inasprito gli animi della gente e messo a tacere i movimenti più radicali che sono all’opposizione. E il resto del mondo cosa ha fatto? L’Europa in questi mesi si è limitata a una manifestazione di solidarietà, mentre gli Usa hanno optato per l’imposizione di sanzioni finanziarie.
Brasile
Con un'economia in lievissima ripresa, una crisi politica sempre più grave, consumi privati in aumento ma con anni di recessione non ancora alle spalle, il Brasile va alle presidenziali a ottobre 2018 e il suo destino sembra già scritto nei sondaggi. Se nel 2017 si profilava uno scontro alla pari tra l'ex capo dello stato Luiz Inácio Lula da Silva, rinviato a giudizio cinque volte con l'accusa di corruzione, riciclaggio e traffico di influenze, e il discusso deputato Jair Bolsonaro, da molti anni il rappresentante dell'estrema destra verde-oro, oltre ad essere un conservatore, un populista, un razzista e un omofobo, ad oggi le previsioni sull'esito del voto sono cambiate e Lula sembra essere passato in testa. A rivelarlo un sondaggio di Datafolha, secondo cui l'ex capo di Stato riceverebbe al momento tra il 29% e il 30% delle preferenze. Al secondo posto (anche se in crescita) si piazzerebbe l'esponente della destra radicale Jair Bolsonaro (16%), quasi pari merito con l'ex leader ambientalista Marina Silva (15%).
Lula è per il Brasile un simbolo politico del passato che non muore ma che, anzi, ritorna con forza a imporsi nel dibattito sudamericano. Temuto principalmente dalle classi abbienti è stato per due volte presidente della Repubblica prima eletto nel 2003 e poi ancora nel 2011. Lo sarà ancora nel 2018?