Quando la CGIL era la cinghia di trasmissione del PCI
Lo scontro tra Susanna Camusso e Matteo Renzi sull'articolo 18 riporta alla mente gli storici duelli tra il movimento dei lavoratori e il partito di massa
Susanna Camusso è l’ultimo nome che si è aggiunto alla lista dei nemici di Matteo Renzi e che, a suo dire, intralciano la strada delle riforme. “Ha in mente il modello della Thatcher” ha dichiarato la leader sindacale; “difendono le ideologie” ha risposto il Presidente del Consiglio. Lo scontro tra PD e CGIL riporta alla mente gli scontri del passato tra il PCI e la CGIL ma, con una sola eccezione, all’epoca Botteghe Oscure pretendeva che il sindacato fosse la cinghia di trasmissione del partito.
Il 12 dicembre 1956 a Roma si svolgeva l’ottavo congresso del Partito Comunista Italiano. Tra gli interventi previsti c’era quello di Giuseppe Di Vittorio, deputato comunista e storico segretario della CGIL. Il 1956 è un anno particolare per la sinistra, da poco più di un mese si erano conclusi i tragici fatti d’Ungheria e il PCI era uscito spaccato da quella drammatica vicenda con alcuni esponenti che, contrariamente al proprio leader, Palmiro Togliatti, avevano condannato l’invasione da parte dei carri armati sovietici per le strade di Budapest.
Tra i critici alla linea del partito c’è proprio Di Vittorio: “L’esperienza che i partiti comunisti devono trarne è di non chiudersi mai in schemi astratti che provochino il loro distacco dalle masse popolari. Senza il libero consenso del popolo lavoratore, un partito comunista viene meno alle essenziali funzioni di avanguardia, esponendosi quindi alle più gravi disfatte. Questa è la lezione che ci viene dalla Polonia e dall’Ungheria”. Subito dopo il leader della CGIL pone l’accento anche su un’altra questione che in quei giorni tiene banco a sinistra, ed è quella relativa ai rapporti proprio tra partito e sindacato: “occorre liquidare definitivamente ed esplicitamente ogni concezione del sindacato come cinghia di trasmissione del partito”. Le cose andarono in maniera diversa dal pensiero del sindacalista. Di Vittorio subì un processo da parte della dirigenza comunista che lo costrinse, tra le lacrime, a rivedere in toto la sua posizione.
Trascorre poco più di un decennio e, il 14 febbraio 1969, la questione dei rapporti tra PCI e CGIL ritorna nuovamente d’attualità. Ancora una volta il dibattito si svolge in un congresso del partito; per la cronaca, il dodicesimo. Siamo a Bologna e sul palco c’è Agostino Novella, l’uomo che aveva preso la difficilissima eredità di Di Vittorio alla guida della CGIL: “prima di parlare sentite i lavoratori” si rivolge ai vertici del partito, “il sindacato non può essere cinghia di trasmissione del partito, come il partito non può essere un organismo parasindacale. Ci deve essere autonomia reciproca perché diversi sono i traguardi finali ed intermedi e si può divergere anche nei tempi dell’azione”. La sua era una critica diretta al segretario comunista Luigi Longo e alla linea del partito tenuta nel 66-67 a livello sindacale. Dopo quel discorso verrà fatto presente a Novella la sua incompatibilità tra le cariche di deputato e segretario sindacale costringendolo a lasciare il secondo incarico. Ma tutta la sua carriera finirà lì.
Passano gli anni, cambiano i protagonisti ma lo scontro tra PCI e CGIL prosegue e sempre in maniera accesa. A scontrarsi questa volta sono Luciano Lama ed Enrico Berlinguer. Il motivo è il piano anticrisi messo in atto dal governo e che prevedeva un Fondo di solidarietà nazionale in favore del Mezzogiorno. Mentre Berlinguer si era opposto alle misure economiche messe in atto dall’esecutivo, il sindacato aveva deciso di partecipare alle trattative direttamente con il presidente del Consiglio Francesco Cossiga, siglando alla fine l’accordo. Ancora una volta lo scambio di accuse è aspro. I due leader si incontrarono una prima volta il 15 luglio nella sede della Federazione unitaria di via Sicilia a Roma con un Berlinguer furioso nei confronti di Lama, Carniti e Benvenuto“o siete con me o contro di me”, la risposta è “se volete la guerra, guerra sarà”. 24 ore dopo il teatro dello scontro si sposta nella sede comunista di Botteghe Oscure. Alla fine, come già avvenuto nelle occasioni precedenti, Lama sarà costretto a fare autocritica ritirando l’appoggio al governo.
Con la caduta del Muro di Berlino e la conseguente svolta della Bolognina, la cinghia di trasmissione tra il partito di massa e il movimento dei lavoratori si è definitivamente spezzata ma lo scontro è rimasto.