Quando il Brasile stava per estradare Battisti
Nel 2010 la Corte suprema federale decise che il terrorista dei Pac dovesse tornare in Italia, ma Lula bloccò tutto. Oggi la Corte torna a decidere
“Sette anni fa la Corte suprema federale brasiliana aveva già dato il suo parere favorevole all’estradizione di Cesare Battisti. Ma in quel caso era stata la volontà politica a bloccarla”.
Cosimo Ferri, sottosegretario alla Giustizia, ricorda a Panorama.it un fatto poco noto nella vicenda giudiziaria del terrorista dei Proletari armati per il comunismo, che la nostra Corte di cassazione nel 1993 ha condannato definitivamente all’ergastolo per quattro omicidi volontari (due dei quali in “concorso morale”) portati a termine tra il 1978 e il 1979.
Il particolare rivelato da Ferri è però importante, e genera aspettative sulla decisione che dovrà venire dalla stessa Corte suprema federale, da oggi pomeriggio alle 18,30 nuovamente impegnata a valutare la richiesta di estradizione avanzata dal governo italiano nei confronti di Battisti, latitante per 36 dei suoi 62 anni.
È improbabile che la Corte suprema brasiliana arrivi già in serata a una decisione. Ma di certo il passaggio giudiziario segna una svolta cruciale nella vicenda.
Nel 2010 Battisti era stato “graziato” dal ministro brasiliano della Giustizia, Tarso Genro, esponente trotzkista del Partito dei lavoratori che partecipava al governo di Luiz Inácio Lula da Silva: quel governo aveva quindi negato l’estradizione e gli aveva anzi concesso lo status di rifugiato manifestando “il fondato timore di una persecuzione politica” nei suoi confronti.
Della questione era stata successivamente investita la stessa Corte costituzionale brasiliana, su richiesta della nuova presidente del Brasile, Dilma Roussef: l'8 giugno 2011 quelal Corte negò definitivamente l'estradizione, con la motivazione che Battisti in Italia "avrebbe potuto subire persecuzioni a cause delle sue idee".
Oggi le cose sono molto cambiate dal punto di vista politico.
L’attuale presidente brasiliano, il centrista Michel Temer, il 12 ottobre scorso ha revocato lo status concesso dal suo predecessore Lula, e ha dichiarato pubblicamente di essere favorevole a che Battisti sia estradato al più presto in Italia.
La decisione finale, quindi, è da oggi nelle mani dei giudici della Corte suprema federale brasiliana: più o meno l’equivalente della nostra Corte di cassazione.
Contro l’estradizione, peraltro, gioca al momento un doppio problema tecnico.
Il primo è che Battisti in Italia è stato condannato a una pena, l’ergastolo, che in Brasile non esiste: la reclusione in quel Paese può durare al massimo 30 anni.
Il governo italiano ha però già manifestato al ministero della Giustizia brasiliano la sua disponibilità ad adeguarsi a eventuali richieste giudiziarie in tal senso: "Abbiamo inviato una nota all'ambasciata d'Italia in Brasile per confermare che rispetteremo le loro norme” dice a Panorama.it il sottosegretario Ferri “e se Battisti verrà estradato in Italia, sconterà 30 anni e non l'ergastolo".
Questa possibilità è prevista dalla legge: l'articolo 720 del codice di procedura penale stabilisce che il ministro della Giustizia possa decidere di accettare le condizioni eventualmente poste da uno Stato estero per concedere l'estradizione. Ovviamente, purché questo non contrasti con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano.
Il secondo problema riguarda lo status di rifugiato politico. La difesa di Battisti, visto che dalla sua concessione sono trascorsi più di cinque anni, nega che oggi quello status possa essere revocato anche in presenza dei presunti reati (che ovviamente Battisti nega) legati al recente tentativo di fuga del terrorista in Brasile.
Intanto il terrorista continua con le sue esternazioni provocatorie.
Ieri Battisti ha dichiarato di avere saputo che "gli agenti penitenziari hanno detto che mi ammazzeranno. C'è un odio alimentato in tutti questi anni da una parte dei media e dalle forze politiche italiane. Quelli che vogliono ammazzarmi sono quelli che dovrebbero occuparsi di me in carcere".