Quel baraccone inutile chiamato Onu
Per l'ennesima volta, l'ultima Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dimostrato di essere un'entità inutile, evanescente. Ieri come oggi, nonostante le emergenze e i conflitti in atto o in procinto di esplodere in tutto il mondo
Calato il sipario, si contano i cocci. O, meglio, neanche quelli. La 67a Assemblea generale delle Nazioni Unite si è conclusa senza far parlare di sé e senza incidere sulle emergenze mondiali in corso, ridotta ormai solo a una passerella, a un tappeto rosso di leader (forse neanche a quello). Mancavano, a New York, protagonisti della politica mondiale che svolgono un ruolo effettivo nelle maggiori crisi aperte (Siria e Medio Oriente).
Mancavano, tra gli altri, i leader di Russia, Cina, India, Turchia, Germania. Il Palazzo di Vetro è ormai un palazzone evanescente, che serve perlopiù a nutrire se stesso e la propria vasta rappresentanza. Fa qualcosa solo attraverso le sue agenzie (quelle che funzionano), ma sempre con un divario eccessivo tra fondi investiti e fondi che realmente finiscono ai destinatari, perdendosi il grosso nei corridoi del Palazzo per foraggiare una struttura burocratica elefantiaca.
Per il resto, già negli anni della Guerra Fredda il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, l’organo più importante, esecutivo, non è riuscito a risolvere alcun conflitto, alcuna crisi. Dopo, ha perso anche l’onore. Nella ex Jugoslavia, soprattutto, dove i caschi blu sono stati spettatori inerti e a volte complici di un massacro durato dieci anni nel cuore dell’Europa.
Negli annali della storia mondiale resteranno sempre come un’onta per la comunità internazionale e per l’Onu il nome di Srebrenica, la cittadina bosniaca la cui popolazione fu brutalizzata e uccisa dai serbi sotto gli occhi dei “soldati blu”, e di Sarajevo, una capitale sotto assedio, con i civili (comprese donne e bambini) in balia dei cecchini.
Dalla Somalia al Ruanda passando per l’ex Jugoslavia, l’Onu non è mai riuscita a fare qualcosa di buono e di decisivo. Anzi, in molti casi è stata la foglia di fico delle parti in conflitto. È servita a prendere tempo mentre i cannoni tuonavano.
Nella sessione che si è appena conclusa si sarebbe dovuto discutere di Siria. Di come risolvere un conflitto che dura da diciotto mesi e che sta provocando nella popolazione siriana sofferenze e orrori senza fine. Ma non c’erano rappresentanti del regime di Bashar al-Assad, e non c’erano né Putin né Hu Jintao. Il russo e il cinese. Né Erdogan, leader di un paese come la Turchia, che ha un ruolo e una forza crescenti e che subisce in questi mesi l’urto dei profughi siriani. Eppure il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, aveva dichiarato che la guerra in Siria era “la priorità”. E poi sullo sfondo dell’attualità politica internazionale scorre un conflitto sordo e potenzialmente devastante tra Israele e l’Iran, ma nessun passo avanti è stato fatto neppure in questa direzione.
Ancora una volta, la passerella è servita al presidente degli Stati Uniti che, anche in quanto “padrone di casa”, ha tenuto il suo discorso in cui ha detto quasi nulla proprio sulla Siria, e a leader come il “fratello musulmano” e neo-presidente egiziano Mohamed Morsi, per farsi conoscere. Ma non c’era nel parterre l’entusiasmo per la “primavera araba”, che si è rivelata essere un malinconico autunno.
L’Onu, questa inutile montagna di carte.