Rapimento Moro: 40 anni fa la strage di via Fani - Cronaca e foto
ll 16 marzo 1978 un commando delle Br rapiva il Presidente della Dc Aldo Moro uccidendo tutti gli uomini della scorta. Italia sotto shock
Nel 40° anniversario della Strage di via Fani dove fu rapito il Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro e dove furono trucidati i 5 componenti della sua scorta, ripercorriamo con le immagini la cronaca di quel giorno che cambiò la storia dell'Italia repubblicana.
Roma, via del Forte Trionfale. Ore 8,45 di giovedì 16 marzo 1978: il giorno del "compromesso storico"
L'Alfetta bianca della scorta del Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro attende con il motore acceso fuori dal civico 79.
Il politico pugliese (62 anni e 5 mandati da Presidente del Consiglio alle spalle) era atteso alla Camera dei Deputati per votare la fiducia al quarto governo Andreotti a cui per la prima volta avrebbero partecipato i deputati del Partito Comunista Italiano di Enrico Berlinguer.
Il clima del Paese in quel marzo del 1978 era molto teso, segnato profondamente dalla lunga scia di delitti da parte delle organizzazioni terroristiche che caratterizzarono gli anni di piombo.
Le Brigate Rosse avevano alzato il tiro fin dal secondo arresto del leader Renato Curcio nel 1976 e, sotto la guida organizzativa di Mario Moretti, avevano assassinato a Genova il Procuratore Generale Francesco Coco e gli uomini della scorta. Oltre ai morti nelle forze dell'ordine dovuti a diversi scontri a fuoco con i brigatisti, gli uomini di Moretti facenti parte della "colonna romana" compirono la prima azione nella Capitale, ferendo il 12 febbraio 1977 Valerio Traversi, membro del Ministero di Grazia e Giustizia. L'attacco al "cuore dello Stato" era cominciato. Poco dopo, a Torino, sarà la volta dell'assassinio del presidente dell'Ordine degli Avvocati Fulvio Croce. A Milano, pochi giorni dopo sarà gambizzato Indro Montanelli, così come altri giornalisti di diverse testate e orientamenti politici. Il 16 novembre fu ferito Carlo Casalegno, che morirà dopo 13 giorni di agonia.
Proprio l'emergenza generata dall'attività dei terroristi aveva portato ai cosiddetti "governi di unità nazionale" nei quali era maturata l'idea del compromesso storico tra DC e PCI, osteggiato dal dissenso interno di parte dei rappresentanti dei due partiti e dagli Stati Uniti, che avevano già ammonito Moro sulla ferma intenzione di Washington di interrompere gli aiuti americani in caso di coinvolgimento dei Comunisti nel Governo italiano.
Nei giorni precedenti il 16 marzo, inoltre, Aldo Moro era stato fatto bersaglio della campagna scandalistica legata al processo sullo scandalo Lockheed, secondo le cui indiscrezioni il mediatore politico delle tangenti per le forniture militari, in codice "Antelope Cobbler", sarebbe stato proprio il Presidente DC.
Pochi minuti dopo l'arrivo della scorta, Moro prendeva posto sul sedile posteriore della Fiat 130 blu ministeriale e la colonna si muoveva rapidamente verso Montecitorio.
Via Fani angolo via Stresa. Ore 9:00. La strage
All'incrocio tra le due vie del quertiere Trionfale, la storia italiana sarà segnata da uno dei fatti più sconvolgenti dal dopoguerra. All'improvviso la vettura di Moro tamponava una Fiat 128 familiare di colore bianco con targa falsa del Corpo Diplomatico (CD 19707), che aveva tagliato la strada alle due auto in viaggio verso la destinazione.
In una manciata di secondi il commando terrorista sbucato dai cespugli di fronte al bar "Olivetti" fa fuoco sull'Alfetta della scorta, uccidendo sul colpo gli agenti Giulio Rivera e Raffaele Iozzino, l'unico riuscito a scendere dall'auto durante l'assalto. Il Vicebrigadiere Francesco Zizzi giaceva ferito gravemente dai proiettili delle BR, l'unico rimasto in vita oltre a Moro. All'interno dell'auto di Aldo Moro giaceva il corpo dell'autista, L'appuntato dei Carabinieri Domenico Ricci. Sul sedile anteriore del passeggero della 130 il corpo del maresciallo dei CC Oreste Leonardi, responsabile della scorta. Di dietro, il posto vuoto occupato dall'Onorevole Aldo Moro.
La prima volante della Polizia di Stato giungeva sul posto pochi minuti dopo l'agguato, intorno alle 9:05 proveniente dal Commissariato Monte Mario, distante circa 2 km.da via Fani. Gli agenti allontanavano a fatica la folla, chiedendo l'intervento delle ambulanze. Le pattuglie giunte per prime in via Fani diramavano la segnalazione di ricercare un'altra Fiat 128 bianca targata Roma M53995, una Fiat 132 blu (Roma P79560) e una moto Honda di colore scuro. I poliziotti riportano quanto riferito dai testimoni, che avrebbero visto i membri del commando indossare divise da "marinai o da agenti di PS". Alle 9:20 fu informato il Ministro dell'Interno Francesco Cossiga.
Ore 9:25 GR2 Edizione Straordinaria
Quando giungono gli uomini della Digos, nelle case degli Italiani le trasmissioni radiofoniche della mattina sono interrotte dalla sigla dell'edizione straordinaria del GR2: la voce del giornalista Cesare Palandri, rotta dall'emozione, diffonde la notizia del rapimento di Aldo Moro e della strage degli agenti di scorta. Nel frattempo sul luogo della strage la Digos inizia a raccogliere prove ed indizi, faticando per la pressione della massa di cittadini attorno alla scena. Nella Fiat 130 vengono rinvenute due borse e documenti dell'Onorevole Moro, le armi cariche della scorta e la radio dell'Alfetta con il ricevitore appoggiato sul pianale, come fosse stata pronta all'uso. A poca distanza gli uomini delle Forze dell'Ordine rinvengono a fianco della 128 una borsa e, a poca distanza, un caricatore con 22 colpi e un cappello dell'Alitalia.
Ore 9:45 I posti di blocco, le telefonate all'Ansa, la seduta a Palazzo Chigi
Tre quarti d'ora dopo l'agguato i posti di blocco delle Forze dell'Ordine sono completati. Nel frattempo era stata ritrovata la Fiat 132 usata dai terroristi per la fuga e abbandonata in via Licinio Calvo, ad appena 2 km. da via Fani. Dall'aeroporto militare di Pratica di Mare si alzavano in volo due elicotteri.
Alle 10:00, esattamente un'ora dopo la strage, i brigatisti rivendicavano l'attentato alle sedi dell'Ansa di Milano e Roma, usando la famosa espressione "attacco al cuore dello Stato". Il Ministro dell'Interno Francesco Cossiga convocava allora il supervertice interforze al quale prendono parte il Ministro della Giustizia Bonifacio, quello delle Finanze Malfatti (a capo della GdF) e della Difesa Ruffini. Con loro i capi delle tre Armi, della Polizia e dei Carabinieri, il Questore di Roma e i comandanti dei Servizi Segreti.
Alle 10:20 si riunisce anche il Governo con le rappresentanze dei Partiti. Lo sgomento e la concitazione inducono il Presidente della Camera Sandro Pertini ad invitare i rappresentanti delle forze politiche italiane a votare immediatamente la fiducia al Governo di solidarietà nazionale guidato da Giulio Andreotti. Quando anche i telegiornali nazionali danno la notizia del rapimento e della strage della scorta, dal Policlinico Gemelli giunge la notizia del decesso dell'unico sopravvissuto all'agguato, il Vicebrigadiere Francesco Zizzi, ricoverato con tre colpi di arma da fuoco in pieno torace.
Primo pomeriggio del 16 marzo 1978: l'Italia si ferma.
Mentre gli inquirenti ascoltavano le prime concitate testimonianze dei cittadini che avevano assistito all'agguato, in tutta Italia i lavoratori delle aziende pubbliche e private si fermavano. I sindacati pronunciavano lo sciopero generale e nelle piazze della principali città italiane affluivano spontaneamente centinaia di migliaia di persone in solidarietà alle istituzioni democratiche.
Non mancò qualche episodio isolato di giubilo alla notizia, limitato tuttavia a qualche elemento tra le componenti di estrema sinistra degli studenti e di alcuni esponenti della sinistra extraparlamentare che vedevano la soluzione nell'allargamento della lotta armata. Ma nella pressoché totalità, gli Italiani erano attoniti e spaventati: l'azione terroristica era arrivata all'obiettivo in una manciata di secondi, portando con sè l'angoscia sulla sorte di Aldo Moro e lo sgomento per la morte violenta degli uomini della scorta.
Cala la sera sul giorno più lungo: inizia la notte della Repubblica
Al calare della luce del sole il buio della sera dell'attentato al cuore dello Stato è interrotto dalla luce tremola dei milioni di apparecchi televisivi sintonizzati sui canali della Rai che trasmettono le immagini della strage. Il Consiglio dei Ministri con i rappresentanti dei partiti vota la fiducia all'esecutivo alle 20:45. Roma è blindata da una rete di posti di blocco intrecciata da 2.000 agenti, che attendono ulteriori rinforzi da altre città.
Mentre l'Italia fatica a prendere sonno al termine di quel giorno drammatico, nessuna traccia del Presidente della Democrazia Cristiana e del commando dei rapitori. Iniziavano i 55 giorni di detenzione del "prigioniero" Aldo Moro in un appartamento di proprietà della brigatista Anna Laura Braghetti al primo piano di via Montalcini, 8 nel quartiere Portuense. La "prigione del popolo" dove, dietro ad una parete costruita appositamente, fu rinchiuso e processato il Presidente della DC nella sua cella di 4 metri per 1.
Oppure in altri luoghi di detenzione, come sostenuto in tempi recenti da diversi studiosi del caso Moro: forse in una villa sul litorale romano, forse in un appartamento di proprietà dello Ior a pochi passi da via Caetani, dove la storia del rapimento ebbe il suo tragico epilogo.