È stata una lunga ed estenuante campagna elettorale, dove il merito tecnico-costituzionale della riforma Boschi-Renzi è stato per lunghi periodi offuscato da polemiche che nulla avevano a che vedere con quello per cui siamo chiamati a votare il 4 dicembre. La personalizzazione della campagna referendaria – considerata inizialmente come uno dei più gravi errori politici del presidente del Consiglio – ha trasformato il dibattito in una sorta di plebiscito a favore o contro il governo di Matteo Renzi.
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Il Sì di Romano Prodi

Romani Prodi, padre fondatore dell’Ulivo, a pochi giorni dal voto è uscito dal silenzio ritenendo “doveroso” rendere noto il suo voto favorevole alla riforma, più che per il merito, per la sua “storia personale” e per “le possibili conseguenze sull’esterno”. Forse i sondaggi sul filo lo hanno spinto a scendere in campo, pur con i dubbi sulla riforma e nel rispetto di chi “farà una scelta diversa”.
“È stata una decisione sofferta” ha dichiarato a La Stampa. “Certo, da tempo avevo deciso come votare, ma stamattina (ieri, ndr), correndo sotto i portici a Bologna, ho definitivamente maturato la convinzione che fosse giusto rendere pubblico il mio voto, anche se da diversi anni ormai non prendevo posizione su temi di politica italiana”.
Il No in extremis di Silvio Berlusconi

Considerato uno dei padri costituenti grazie al patto del Nazareno, Silvio Berlusconi è salito recentemente sul carro del No, facendosi promotore – dopo essere stato sempre il più acceso sostenitore del bipolarismo – di una nuova legge elettorale proporzionale con sbarramento al 5%. Quanto a Fedele Confalonieri, che ha recentemente espresso una preferenza per il Sì, Berlusconi ha spiegato: «Hanno paura di una possibile ritorsione di chi ha il potere. Ho avuto discussioni a questo livello e ho dovuto accettare, essendoci una maggioranza di risparmiatori e di investitori, che certe dichiarazioni del presidente di Mediaset sono attribuibili alla difesa dei risparmiatori».
Il No finale di Pier Luigi Bersani

È probabilmente quello di Pier Luigi Bersani il NO più pesante al referendum sulla riforma costituzionale maturato nel campo del centrosinistra. Una decisione traumatica, benché attesa, che Bersani ha deciso di formalizzare nel corso della Direzione nazionale del partito di lunedì 10 ottobre. Bersani è rimasto per settimane in attesa di un segnale da parte di Matteo Renzi. Ma evidentemente l’apertura, alquanto vaga, a possibili modifiche dell’Italicum concessa dal premier non è bastata al leader della sinistra Pd che, pur avendo votato il testo per 3 volte alla Camera, infatti motiva la sua scelta con il timore delle conseguenze, «un governo del capo», che la riforma avrebbe in combinato disposto con l’attuale legge elettorale.
Il niet risentito di Massimo D’Alema

C’è soprattutto, secondo i suoi detrattori, il No a Matteo Renzi dietro le critiche a una «riforma scritta male, praticamente illeggibile» espresse dall’ex premier Massimo D’Alema (PD), tra i protagonisti del Fronte del NO in questa battaglia referendaria. Il 5 settembre, D’Alema ha lanciato dal palco del cinema Farnese il suo Comitato nazionale per il No. Presenti in sala molti volti noti della vecchia sinistra come Cesare Salvi, Pietro Folena, Stefano Passigli, Vincenzo Vita e parlamentari come l’ex giornalista Massimo Mucchetti, Lucrezia Ricchiuti, Paolo Corsini, Arturo Scotto e Alfredo D’Attorre.
Confindustria e gli industriali per il Sì
Il primo a dirlo chiaramente è stato il Presidente di Confindustria Vincenzo Boccia: gli industriali sostengono la riforma costituzionale disegnata dal governo Renzi. Dunque, per loro è un SI. «La stabilità – ha evidenziato Boccia – è la precondizione per una politica dell’offerta e di medio termine». Non solo. Anche Coldiretti si è espressa favorevolmente per la riforma. Gli industriali hanno anche ipotizzato, nel caso di vittoria del NO che portasse a un nuovo periodo di instabilità politica, conseguenze pesanti per la già disastrata finanza pubblica italiana.
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Il No dei partigiani di Carlo Smuraglia (Anpi)

«Il nostro statuto dice che tra gli obiettivi c’è da difendere e chiedere l’attuazione della Costituzione, nello spirito con cui la votarono i costituenti. Una modifica è sempre ammissibile, ma quando c’è qualcosa che stravolge quello spirito, ci sentiamo obbligati a schierarci a difesa della Costituzione». Invitato a un dibattito con Matteo Renzi alla Festa dell’Unità di Bologna, il prof. Carlo Smuraglia, ex partigiano delle Brigate Garibaldi, ha motivato le ragioni del No suo e dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia, con parole che ne hanno fatto – a sinistra – uno dei più temibili avversari del Partito democratico di Matteo Renzi.
Il No moderato di Stefano Parisi

Ospite alla Versiliana alla festa del Fatto Quotidiano, Stefano Parisi (Forza Italia) ha ribadito il suo No alle riforme: «Non perché deve cadere Renzi ma perché sono lacunose, pasticciate e sbagliate». L’ex candidato sindaco di Milano del centrodestra ha così confermato la sua posizione in merito al prossimo referendum già precedentemente espressa in una lettera a Repubblica: «Questa riforma va respinta – aveva scritto Parisi – Bisogna votare No. E devono poter votare No anche coloro, e sono tanti, che pensano che questa riforma sia un gran pasticcio ma che sia necessario scongiurare il vuoto politico».
Il no piazzaiolo di Beppe Grillo

«Questa riforma è composta da articoli lunghissimi e incomprensibili ai più. È da rispedire al mittente». Così il fondatore del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo, che ha affidato ai suoi più fidati parlamentari il compito di diffondere il verbo. In prima linea Alessandro Di Battista, protagonista della campagna itinerante estiva Costituzione Coast to Coast, in motocicletta.
Il No motivato dei professori

È un No pesante, e motivato, quello che circa 50 noti costituzionalisti come Gustavo Zagrebelsky, Valerio Onida, Enzo Cheli, Antonio Baldassarre, Giovanni Maria Flick hanno sottoscritto sin dalle prime battute della campagna elettorale. Al No dei 50 costituzionalisti il Sì ha risposto schierando 184 intellettuali e giuristi, come Tiziano Treu, Stefano Ceccanti, Angelo Panebianco, che però non hanno avuto lo stesso peso durante la campagna elettorale.
Il No antirenziano di Giorgia Meloni

Si chiama No Grazie il comitato nazionale presentato dalla presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni il 23 luglio ad Arezzo. «Siamo convintamente contrari rispetto all’ultima colossale truffa di Renzi». All’iniziativa di Meloni hanno aderito anche Raffaele Fitto, Roberto Maroni della Lega Nord e Maurizio Bianconi.
Il No antigovernativo di Matteo Salvini

«Mandare a casa Renzi». Il leader della Lega Matteo Salvini è stato il politico che più di ogni altro ha usato il tema referendario per fini politici e di partito: far cadere il governo. C’è poi una ragione, più di merito, dietro il No della Lega alla riforma costituzionale: l’opposizione alla modifica del titolo V che sottrae funzioni e attribuzioni alle regioni.
Il No di Renato Brunetta

Dentro Forza Italia il dibattito sul referendum costituzionale resta aperto e si registrano, in alcuni casi, posizioni ancora piuttosto sfumate. Chi sicuramente ha invece già deciso è il capogruppo alla Camera Renato Brunetta. «Un bel ‘no’ per dare il ciaone a Renzi».
Il No presidenzialista di Gianfranco Fini

Per il No è anche l’ex presidente della Camera Gianfranco Fini, promotore del comitato Presidenzialisti per il NO, secondo il quale le riforme di Renzi «archiviano la Repubblica parlamentare senza proporre alcuna nuova Repubblica». Per il presidente di Liberadestra la legge va bocciata perché «l’Italia non si può permettere una Costituzione che finirebbe per aggravare la condizione della democrazia».
Il No “de sinistra” di Nichi Vendola

Fin dal giorno dell’approvazione in Parlamento della nuova legge costituzionale, nell’ottobre del 2015, il leader di Sel Nichi Vendola si era schierato contro: «Lavoreremo da subito alla costituzione dei comitati per il NO al referendum sulla riforma costituzionale». Motivo: «Siamo di fronte a un impianto riformatore – disse – che è non soltanto uno sgangherato pasticcio, ma muta la forma della democrazia italiana in un presidenzialismo camuffato non mitigato da contrappesi». Qui, sul suo blog, spiega in modo articolato le ragioni del suo NO.
Il No possibile di Pippo Civati

«È una riforma fatta con i piedi». Così il leader di Possibile ed ex parlamentare PD, Pippo Civati che boccia il nuovo Senato definendolo come «surreale» perché «composto da consiglieri regionali che si nominano tra loro». «Io non credo che chi vota no, non vuole il futuro – ha detto – semplicemente lo vuole diverso».
Il No napoletano di Luigi De Magistris

Contro la riforma costituzionale anche il sindaco di Napoli Luigi De Magistris che ha schierato tutta la sua giunta per il no al referendum facendo approvare una delibera che ha per oggetto la «adesione del Comune di Napoli alle campagne referendarie in corso» e nella quale si legge che «l’amministrazione comunale intende sensibilizzare l’opinione pubblica in vista delle ragioni del no, esprimendo un fortissimo allarme per la deriva autoritaria introdotta dalla legge costituzionale in questione, la quale stravolge l’impianto istituzionale democratico voluto dai costituenti».
Il Sì di governo di Denis Verdini

Con il lancio, all’inizio di agosto, della mobilitazione di Ala a favore del sì, Denis Verdini ha confermato il suo appoggio non solo alla riforma Boschi ma, di fatto, al governo Renzi. «A noi che abbiamo una storia di centrodestra alle spalle – ha detto l’ex consigliere di Silvio Berlusconi – sembra interessante mettere su dei comitati per il Referendum che incidano su quel elettorato che per 20 anni ha chiesto le riforme, bocciate con il referendum del 2006».
Il Sì di centrodestra di Angelino Alfano

Per il ministro dell’Interno «la sfida è tra chi vuole cambiare il Paese e chi vuole conservare l’esistente». Il principale alleato di Matteo Renzi al governo ha anche evidenziato come il contenuto della riforma sia in linea con molte delle tradizionali convinzioni costituzionali del centrodestra: «Da primo e unico segretario del Pdl – ha dichiarato Angelino Alfano – posso dire con certezza che almeno la metà degli eletti di quella forza politica voterà Sì al referendum. La nostra posizione sulla riforma non è mai cambiata, siamo coerenti con la nostra storia».
Il Sì responsabile di Flavio Tosi

«Per chi è di centrodestra votare Sì a questa riforma è assolutamente coerente». Così il sindaco di Verona Flavio Tosi – ex leghista – che ha deciso di dire sì alla riforma targata Renzi-Boschi pur rimanendo nettamente all’opposizione del loro governo. Secondo l’ex leghista «l’eventuale bocciatura sarebbe pagata a carissimo prezzo dall’Italia nel rapporto con i partner stranieri e con la finanza internazionale».
Il Sì riformista di Enrico Zanetti
Schierato con il sì è anche il viceministro dell’Economia Enrico Zanetti. Il suo partito, Scelta Civica, si è spaccato sull’alleanza con l’Ala di Denis Verdini. Zanetti ha già annunciato che, incaso di vittoria del Sì, sarà trai promotori di una richiesta di rimpasto di governo.
Il Sì di Pierferdinando Casini

«Al Referendum istituzionale voto un sì convinto. Ho votato la legge in Parlamento ed è una riforma che, soprattutto dal punto di vista del potere dello Stato rispetto al potere di veto e di paralisi delle Regioni, fa passi giganteschi in avanti». Così l’ex presidente della Camera Pierferdinando Casini che nei mesi scorsi non ha rinnovato la tessera dell’Udc lasciando di fatto il partito che ha contribuito a fondare nel 2002 e che proprio sul tema referendum sta vivendo una profonda spaccatura interna.
Il Sì ex-ciellino di Maurizio Lupi

«Questa riforma interviene chiarendo quali sono finalmente i poteri dello Stato e quali sono i poteri della Regione. Dobbiamo avere il coraggio di cambiare innanzitutto nell’interesse dei cittadini». Così l’ex ministro ai Trasporti e alle Infrastrutture Maurizio Lupi e capogruppo alla Camera di Area Popolare, nonché ex politico diriferimento dell’area di Comunione e Liberazione.
Un Sì socialista per Riccardo Nencini

Schierati per il Sì anche i socialisti italiani. «Se vince il no il processo delle riforme istituzionali si blocca. Nessuno avrà la forza e la credibilità per riproporlo. Se vince il SI il cantiere resta aperto. La prossima legislatura assumerebbe la natura di ‘legislatura costituente’ per completare il lavoro avviato da questo parlamento e l’Assemblea Costituente sarebbe la strada maestra per un confronto senza pregiudiziali ». Così il segretario del Psi, Riccardo Nencini.