Referendum costituzionale: che cos'è l'ipotesi "spacchettamento"
Più quesiti al posto di uno: è questa l'idea di un fronte trasversale per "spoliticizzare" la discussione. Ma l'obiettivo di molti sembra essere un altro
All'improvviso il premier Matteo Renzi è diventato possibilista su tutto: possibilista sullo spacchettamento del quesito referendario e possibilista sulle modifiche all'Italicum. Sino a un paio di settimane fa, sia pubblicamente che nei colloqui con i suoi fedelissimi, non faceva che ripetere di non avere alcuna intenzione di cambiare una virgola ai suoi piani. Oggi, forse perché per la prima volta percepisce di trovarsi davvero in difficoltà, solo le sue dimissioni da presidente del Consiglio restano in caso di sconfitta dei “sì” restano un punto fermo. Ma anche in questo caso un cambiamento c'è stato: prima, infatti, si trattava di ritirarsi dalla politica tout court, ora solo di lasciare Palazzo Chigi e non la politica in generale. Rimarrebbe comunque segretario nazionale del Partito democratico. Una differenza non da poco.
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Perché sì allo spacchettamento
Sul cosiddetto "spacchettamento" del quesito sul quale gli italiani dovranno esprimersi forse a ottobre, vanno però chiariti alcuni punti alla luce dei quali l'operazione risulta, se non impossibile, piuttosto impraticabile. Vediamo perché. L'idea, avanzata dai Radicali per primi seguiti poi dai Socialisti del sottosegretario Riccardo Nencini, risale a molto tempo fa. Si tratterebbe di sottoporre all'elettorato, invece che un unico quesito, tra i tre e i cinque. Questo per evitare che chi vota sia obbligato a dare un parere omogeneo su una riforma che riscrive ben 41 articoli della Costituzione su 139 e che riguarda argomenti tanto eterogenei: dalla funzione del Senato alle nuove autonomie regionali alle regole sui referendum. I sostenitori dello spacchettamento ritengono inoltre che sottoponendo agli elettori più quesiti, costoro avrebbero più facilità a esprimersi nel merito di ciascuno e non per simpatia o antipatia nei confronti di qualcuno. Del premier, specificatamente.
Perché no allo spacchettamento
Ci sono però delle obiezioni suscettibili di diventare oggetto di ricorso. Intanto bisognerebbe stabilire se è ammissibile che gli elettori votino una riforma spacchettata quando i loro rappresentanti in Parlamento l'hanno già votata in toto e non certo articolo per articolo. Inoltre, per presentare il referendum nella nuova formulazione multipla sarebbe necessario raccogliere di nuovo, ed entro il 15 luglio, le firme di un quinto dei deputati, ossia 126, e di un quinto dei senatori, ossia 64. A quel punto la Cassazione avrebbe a disposizione fino a metà agosto per poter ammettere i nuovi quesiti. Non è escluso che, vista l'urgenza, il verdetto possa arrivare in tempi molto più brevi ma, visto che non è mai accaduto prima che sulla stessa materia arrivassero due richieste diverse, è molto complicato immaginare di che tipo di verdetto possa trattarsi.
Inoltre, se i richiedenti non dovessero essere soddisfatti delle eventuali modifiche apportate dalla Cassazione, potrebbero ricorrere alla Corte Costituzionale che prima del prossimo autunno non riuscirebbe a formulare un giudizio. La conseguenza sarebbe di veder slittare inevitabilmente la data del referendum di molti mesi, addirittura nel 2017. Il che vorrebbe dire prolungare, che è quello che in realtà molti auspicano, questa legislatura fino alla sua scadenza naturale del 2018.
Il nodo Italicum
Anche perché, senza il via libera definitivo alla riforma costituzionale, quindi in caso di vittoria dei “no” (questo è in sostanza lo spauracchio che le altre forze politiche e la minoranza Pd agitano di fronte a Matteo Renzi) salterebbe anche l'Italicum. È impensabile, infatti, che si possa votare con una legge alla Camera e con un'altra al Senato (Senato che diventerebbe invece una Camera di secondo livello, quindi votata indirettamente, in caso di via libera alla legge Boschi). Ecco perché referendum costituzionale e legge elettorale restano indissolubilmente legati. La maggioranza Pd vorrebbe rimandare eventuali modifiche all'Italicum a dopo il referendum. Tutti gli altri invece condizionano il loro via libera al referendum a quello di Renzi alle modifiche dell'Italicum. Le chiede Forza Italia, il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano, la minoranza Pd e Sinistra italiana. Gli unici che non chiedono di cambiare la legge elettorale, ma di abolirla tout court, sono gli esponenti del M5s, ossia coloro che, alla luce dei risultati delle scorse amministrative, ne sarebbero i maggior beneficiari.
Il sondaggio Demos: perché calano i "sì"
Sulla scelta del premier a questo punto potrebbero però influire anche gli ultimi sondaggi sul referendum costituzionale. L'ultimo effettuato da Ilvo Diamanti per Demos attesta i “sì” al 37% e i “no” al 30%. La distanza tra i due fronti si sta riducendo e i sì, da febbraio, hanno perso la bellezza di 13 punti mentre il divario si è ridotto da 26 a 7 punti. Il 33% è ancora indeciso ma sembra comunque intenzionato ad andare a votare. Ma quali sono le ragioni dell'erosione del bacino dei favorevoli? Soprattutto nelle ultime settimane ha inciso un fattore psicologico che riguarda la scoperta della vulnerabilità di Matteo Renzi, reduce da una pesante sconfitta elettorale alle amministrative, che ha ridato fiato e vigore ai suoi oppositori. Matteo Renzi aveva deciso di legare il proprio destino politico all'esito referendario, “se vincono i no, mi dimetto”, per trovare una legittimazione alla sua permanenza al Palazzo Chigi dove si trova dal febbraio del 2014, senza essere passato attraverso le elezioni, proprio per portare in porto quelle riforme che erano alla base del mandato assegnatogli dall'ex capo dello Stato Giorgio Napolitano. Una scelta coerente che però ha finito per politicizzare una battaglia, quella referendaria, che si è attratta nemici più suoi che delle riforme stesse.