Referendum: vince il No, perde Renzi
È finita, dopo due anni, l'esperienza di governo del più giovane presidente del Consiglio della storia italiana
«L'esperienza del mio governo finisce qui. Domani salgo al Qurinale per consegnargli le mie dimissioni. Tutto il Paese sa che può contare su una guida autorevole e salda come quella del presidente Mattarella».
Pochi pensavano due anni fa, quando Matteo Renzi divenne il più giovane presidente del Consiglio della storia repubblicana, che la sua stella si sarebbe offuscata così presto sul tema della riforma costituzionale. La crisi della seconda repubblica macina e distrugge i leader politici con una rapidità impensabile fino a quindici anni fa. La parabola si è apparentemente conclusa.
Salito alla ribalta nel 2012, ai tempi delle primarie per la segreteria Pd, il premier ha conosciuto un'ascesa politica straordinariamente rapida, prima prendendosi tutto il partito deflagrato sul nome di Prodi al Quirinale, e infine sostituendo Enrico Letta a Palazzo Chigi, dopo un colpo di mano parlamentare che ha seminato rancori in un pezzo grosso del Partito democratico. Un pezzo del partito che attendeva solo l'occasione giusta per vendicarsi. Il referendum gliel'ha fornita.
C'è di più. La luna di miele consacrata dal 40% per il Pd alle elezioni europee del 2014 è finita presto anche con gli italiani. È finita non ancora nel partito, ma è finita nel Paese, dove Renzi sconta colpe solo parzialmente proprie, legate alla situazione economica complessiva del nostro Paese, a prescindere da chi governa.
Tutti hanno sottolineato come uno dei suoi più gravi errori fatti dal premier è stato quello di aver personalizzato la campagna elettorale, costringendo il composito Fronte del No a fare altrettanto, e lasciando di fatto in secondo piano il merito della riforma. Avere trasformato un referendum in un plebiscito pro o contro il suo governo è stato secondo molti il tranello fatale in cui è scivolato l'ex sindaco di Firenze.
È presto però per suonare le campane a lutto del renzismo. E questo perché Matteo Renzi ha confermato anche in questo caso di avere un consenso nel Paese non maggioritario forse ma molto largo. Con il 42% di Sì - in un referendum che è stato iper-personalizzato - sarà difficile anche che il vecchio Pd di sinistra - in un ipotetico Congresso anticipato - si riprenda il partito, ammesso (e non concesso) che poi riesca a ricucirlo dopo due anni di guerre intestine.
Renzi - che pure ha ammesso la sconfitta in modo tempestivo e dignitoso - farà due passi indietro e proverà probabilmente a lasciare l'iniziativa politica al composito Fronte del No (bersaniani e dalemiani compresi). Potrà attendere, forte di quel 40%, conscio che il No, come posizione politica, non esiste e che è molto diviso sulla legge legge elettorale. È finita forse la sua esperienza di governo, non la sua carriera politica.