Renzi e le sue mille ambizioni
Progetti e sogni. Ecco tutte le promesse fatte ai fiorentini dal sindaco Renzi
"Aria fritta, fuffa, battute"sentenziava già un anno fa Andrea Barducci, presidente della Provincia di Firenze, il compagno di partito (si fa per dire) di Matteo Renzi che tiene orgogliosamente in ufficio la foto di Enrico Berlinguer accanto a quella diGiorgio Napolitano. Eppure Barducci è stato per cinque anni vice di Renzi, quando proprio la provincia lanciò il futuro rottamatore alla ribalta della politica locale.
È l’emblema dell’enigma fiorentino, dove la nomenklatura del vecchio Pci è ancora fortissima, tra circoli Arci e case del popolo, e dove il primo cittadino aspirante primo ministro governa con grande piglio e grande consenso.Più li tratta male, più i fiorentini sono contenti. Ha detto che i dipendenti comunali sono dei Fantozzi, che il consiglio comunale è inutile, che il Maggio musicale è uno stipendificio, vuole i negozi aperti il 1° maggio, si è sbarazzato dei dipendenti dell’azienda dei trasporti urbani (l’Ataf è stata venduta alle Fs, che ora ne vogliono licenziare un bel po’), ha dato un calcio alla concertazione buttando nel cestino, appena eletto, le proposte della Cgil e introducendo la tassa di soggiorno senza manco dirlo agli albergatori. Ma piace, quanto piace. La riprova? «In provincia i fiorentini maggiorenni saranno 800 mila e di questi 150 mila hanno in tasca la nostra tessera» ammette quasi divertito Mauro Fuso della Cgil «però alle primarie del Pd la maggioranza ha votato lui, non Bersani».Benvenuti nella città più bella del mondo (ma anche Roma deve piacergli), come sostiene Renzi, felice di fare il sindaco, che ovviamente è il mestiere più bello del mondo.
E non si può dire che non abbia fatto niente per renderla più bella, la città. Anzi, ha fatto solo quello, sostengono i detrattori(non dell’opposizione, sarebbe troppo facile, ma del suo stesso schieramento).
Piazze pedonalizzate, fiori e piante in mastodontici vasi di cotto dell’Impruneta, pavimentazioni molto chic, in modo che il salotto sia sempre più salotto. Fra una pedonalizzazione e l’altra (foto, discorso, applausi) Renzi scappa a Roma a brigare per il suo futuro. Ma bisogna stare attenti perché questi fiorentini sono dei veri ragazzacci e non li si può lasciare soli un attimo.
Così, mentre negli ultimi due mesi si infittivano le trasferte romane, in città sono successi un sacco di pasticci.Intanto per una piazza abbellita ce n’è un’altra che si imbruttisce. Renzi non ha ancora potuto spostare le bancarelle di ciarpame del mercatino di piazza San Lorenzo, né è riuscito a ripulire l’Ospedale degli Innocenti da rom e clochard. Quanto a piazza del Duomo, il presidente dell’Opera del Duomo, Franco Lucchesi, ha attaccato l’amministrazione dicendo che è un suk inguardabile di ambulanti, fiaccherai, strimpellatori e chi più ne ha più ne metta. Poi ci sono state le storie boccaccesche di Palazzo Vecchio, che hanno portato alle dimissioni di un assessore. Però sono state liquidate con una battuta: «Vorràdire che l’anno prossimo Benigni invece di leggere Dante leggerà il Decamerone».
Ma il 24 giugno il cardinale Giuseppe Betori, festeggiando il santo patrono, si è lanciato in un duro atto d’accusa contro una città corrotta e senza morale. Il sindaco, cattolico, ha rispedito le accuse al mittente alzando il tiro: un attacco politico di sapore «ruiniano».Un’altra grana: il Maggio musicale.
Renzi fa il duro, dice che è uno stipendificioe che la liquidazione (con licenziamenti) è l’unicavia d’uscita. Il ministro dei Beni culturali Massimo Bray sembra d’accordo, ma poi lo sconfessa e sposa la linea morbida di Enrico Rossi, il governatore della regione con cui Renzi non va mai d’accordo. Il sindaco contrattacca: «Così si salvano le banche, non i posti di lavoro, una cosa molto di sinistra ». Nel frattempo, Renzi ha presenziato a due inaugurazioni del nuovo teatro, che ovviamente non è terminato, mettendo in vendita il vecchio per 40 milioni. A furia di ribassi siamo scesi a 20 milioni, eppure di un acquirente non c’è traccia.La Fiorentina: i tifosi viola sognano un nuovo stadio di cui, dopo le liti con i Della Valle, i proprietari, e il governatore Rossi,ancora non si vede neanche il prato. Ma il dramma dei drammi è il tram chiamato desiderio. La nuova linea 2, annunciatamille volte, rinviata e semiinaugurata altre mille, non si farà prima del 2014, anno in cui Renzi (che proprio l’anno prossimo ha il primo mandato in scadenza) ne aveva assicurato addirittura l’entrata in funzione.
Barducci, ancora lui, colpisce duro: «Le parole sono pietre, ma qui vedo molte parole e poche pietre».Qui è bene fermarsi un attimo perché chi non conosce la città non può capire. È tagliata in due dal fiume, con il centro storico in mezzo, e la decisione del sindaco di pedonalizzare piazza del Duomo è stata come se nella Berlino della guerra fredda avessero chiuso il check-point Charlie. Gli spostamenti in autobus sono diventati un calvario, la città non si attraversa più neanche in taxi, tutto è più difficile.
Ed eccoci al quesito che angustia i fiorentini: in questo bellissimo salotto, come facciamo ad andarci? E se per caso qualcuno addirittura avesse l’impudenza di volerci lavorare, come ci arriva? Il dibattito non è banale, perché il turismo porta soldi (22 milioni solo con la tassa di soggiorno altri 8 milioni all’anno per i parcheggi deipullman, tanto per dare un’idea), però molti residenti non ci stanno a fare i confetti in una bomboniera. Magari vorrebbero avere altre attività economiche, spostarsi, fare cose.
Tutto difficilissimo. E se si considera che la nuova stazione dell’alta velocità è ferma e sulla pista del microaeroporto di Peretola si litiga da 40 anni (si doveva fare parallela all’autostrada, poi perpendicolare, ora pare la vogliano obliqua), ecco spiegata l’angoscia dei fiorentini. Che vorrebbero un progetto, una strategia, che invece non c’è. Di doman non v’è certezza.Le colpe sono condivise, certo: qui c’è un sequestro della procura, là c’è un ricorso al tar (Renzi li chiama ironicamente tar, controtar e avatar), là c’è un committente che è fallito. Tuttavia, nell’insieme il quadro è di desolante immobilismo: Firenze continua a guardarsi allo specchio compiaciuta di quanto l’abbiano fatta bella gli antenati. In fondo, sono passati solo 600 anni. Il futuro può attendere?
Il grande dibattito è trasversale. La Cgil ne fa una questione di giustizia sociale.«Chi sta in centro ha una rendita» dice Fuso «e chi sta fuori?». Anche Francesco Bechi (Federalberghi) è contro la città museo («La vogliamo viva, con i residenti, perché è più bella anche per i turisti»). Claudio Bianchi(Confesercenti) sintetizza: «Renzi ha avuto il merito di svegliarci, adesso che siamo svegli facciamo qualcosa». Ma il sindaco è distratto, tutti lo dicono e tutti se ne lamentano. È un coro: i primi due anni e mezzo è stato un vulcano di energia, un fenomeno della comunicazione, un genio dell’immagine, ma adesso che si fa?
Però poi tutti in coro ammettono: se si ripresenta come candidato sindaco, stravince. Anche perché, dicono con tipico spirito fiorentino, non è che in giro ci siano questi campioni… Già, c’è qualche burosauro di partito che ha voglia di sfidarlo? Mentre Massimo D’Alema irrompe nel dibattito nazionale ricordando che «non si fanno le regole apposta per Renzi», lui in fondo è diventato sindaco proprio perché la sinistra, come ama ricordare, ha una grande propensione alla sconfitta.
Nel 2009, quando si fecero le primarie per la candidatura a sindaco, tra i quattro sfidanti non c’erano pesi massimi del vecchio Pci e così Walter Veltroni pensò di paracadutare nella mischia Michele Ventura, vicesindaco di Firenze negli anni Ottanta e non particolarmente amato. Una scelta perdente: non solo Ventura catalizzò un misero 12 per cento dei consensi e non venne eletto, ma sparigliò le carte dei contendenti favorendo Renzi, che uscì vittorioso. Chissà se a Roma se ne ricordano.