Renzi sempre più solo, il Pd non esiste più
Si allunga la lista di quelli che lasciano il partito. Il Segretario però, staccato dalla realtà, continua la sua illusoria corsa verso Palazzo Chigi
Romano Prodi ha spostato la tenda un po’ più in là. Bersani, Speranza, Stumpo, Gotor, hanno fatto le valige da un pezzo. Enrico Letta è stato disarcionato da Palazzo Chigi come il peggiore dei nemici.
E poi è stato il turno di Vasco Errani che ha lasciato il ruolo di commissario per la ricostruzione, di Pietro Grasso e da ultimo di Antonio Bassolino che hanno abbandonato casa Pd, in forte polemica con il segretario Matteo Renzi.
Scappano i big, ma anche i giovani
Da tempo, gli umori all’interno del Nazareno sono funesti. Il partito assomiglia sempre più alla casa del leader e anche lo spostamento della stanza del segretario al terzo piano del palazzo, in posizione defilata e con un campanello alla porta è emblematico del fatto che si è perso il senso della comunità.
Una riflessione che Antonio Bassolino ha ribadito nelle sue recenti interviste ai maggiori quotidiani dove critica l’attuale assetto del Pd dove neppure “i rapporti umani hanno un senso”.
L’acceleratore pigiato sempre in avanti ha svilito il dialogo interno al partito. Spesso le direzioni si trasformano in rituali stanchi dove finisce sempre con l’approvazione della mozione del segretario.
Le voci fuori dal coro sono prese come inutili perdite di tempo.
Lo stesso Gianni Cuperlo, che persevera nel suo ruolo di mediatore con una parte di fuoriusciti e rappresentante della minoranza interna, fatica a trovare ascolto.
Ma Renzi non sta perdendo solo i consensi dei padri nobili della sinistra, ma anche cospicui numeri nelle fila dei Giovani democratici che hanno strappato la tessera del Pd.
Come i 40 ragazzi di Catania che hanno scelto di sostenere la corsa di Claudio Fava in Sicilia, o i 200 di Enna.
Numeri importanti per uno che si era presentato per rinnovare la politica, coinvolgendo sempre più giovani.
L'illusione del 40 per cento
Fatto è che l’azione di Matteo Renzi è puntata sempre al rilancio e mai all’autocritica, all’analisi collettiva della sconfitta.
Così, a prescindere da come andranno le elezioni domenica in Sicilia, Renzi è già pronto alla sfida tv con Di Maio.
Come se il passaggio siciliano non lo coinvolgesse, né come politico, né come segretario del maggiore (ma lo è ancora?) partito italiano.
Non si capisce però se sia stato Renzi ad aver rottamato la vecchia guardia o siano stati i big a scaricare questo giovanotto ambizioso arrivato da Firenze, che in pochi anni ha trasformato il Pd in un comitato elettorale a proprio uso e consumo.
Lasciando i conti della ditta in profondo rosso, 184 dipendenti in cassa integrazione e inanellando una serie di sconfitte da capogiro sull’illusione che il 40 per cento delle europee durasse per sempre.
Quello che è certo è che chi profetizzava che il Pd con Renzi si sarebbe trasformato in PdR (Partito di Renzi) aveva ragione.
Il cerchio magico è sempre più simile ad un anello. Renzi si circonda sempre più di fedelissimi e in generale pare che non si fidi dei consigli di nessuno.
Continua la sua corsa da attaccante verso Palazzo Chigi, senza accorgersi che intanto la squadra sta scendendo negli spogliatoi.
Un leader che corre, ma che ha perso il contatto con la realtà a lui più vicina.
Per saperne di più
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