Ma in America si sono accorti della visita di Renzi?
Da noi quella del premier assomiglia a una cavalcata trionfale, negli Usa è una normale passerella del capo di un Paese alleato
Vista dall’Italia, la missione americana di Matteo Renzi appare come una trionfale cavalcata in cui il premier italiano viene riverito, se non addirittura corteggiato, dall’establishment americano, dai laboratori dell’innovazione nella Silicon Valley al quartier generale della Chrysler a Detroit – dove oggi è in visita con Sergio Marchionne – e naturalmente a New York, dove 140 capi di stato e di governo si sono radunati per l’assemblea generale dell’Onu, ma per qualche motivo sembra che tutti, famiglia Clinton compresa, avessero occhi solo per Renzi.
L’effetto ottico certamente deriva anche dalla combinazione di intenso social networking e un pizzico di provincialismo: Renzi va in America, ma gli americani se ne sono accorti? Quando parla di crescita, riforma del lavoro e della giustizia, come ha fatto al Council on Foreign Relations e ai microfoni di Bloomberg e Wall Street Journal, gli americani, in cerca di alleati per bilanciare l’austerità tedesca, ascoltano interessati. Dire che “fra crescita e austerità questo governo sta con la crescita” è una formula sicura per accattivarsi la sensibilità dell’amministrazione americana, oltre che quella di Marchionne e degli industriali che operano sulle due sponde dell’Atlantico. L’affinità si affievolisce leggermente sul tema di politica estera che è stato al centro dell’intervento di Renzi all’Onu: la Libia e il Mediterraneo, quadrante che al momento è superato da altre priorità.