La tattica immobile di Renzi
Né patti né alleanza: l'ex leader del Pd ancora controlla le truppe in aula e vuole che siano gli altri a scottarsi con le trattative per l'esecutivo
Se gli parli ti dice che è in palestra, che ha appena scaricato Netflix, che è in pace con se stesso: "Nelle condizioni" la battuta salace non gli è venuta meno "di Mario Monti che scopre il sesso". Eppure Matteo Renzi, geloso del suo ruolo di senatore semplice di Rignano, continua ad essere dietro le quinte il regista della politica del Pd.
Per dimostrarlo ha mandato un segnale con l'elezione dei capigruppo, Graziano Delrio alla Camera e Andrea Marcucci al Senato, entrambi renziani diversi ma uguali. "Non avevo alternative" spiega "quando Luigi Zanda, l'uomo di Dario Franceschini al Senato, ha detto che non si potevano eleggere due capigruppo renziani, non potevo far altro che imporre i miei uomini, per tenere il Pd con la barra ben ferma sulla politica di opposizione. Oggi si può dire che hanno perso Franceschini, Fassino, Veltroni, Martina: quelli del Pd che volevano l'inciucio. E più di tutti Zanda".
Così, nelle consultazioni per la formazione del nuovo governo al Quirinale, il Pd parlerà una sola lingua, quella dell'ex segretario. Naturalmente non c'è nulla di personale, né un desiderio di "revanche" - dice - ma solo la convinzione profonda che il Pd per risalire nei sondaggi deve tenersi fuori da tutto, deve essere l'unica alternativa al populismo declinato in tutte le sue forme in Italia. Insomma, un'opposizione chiara: più o meno la stessa politica, con più garbo e senso dello Stato, che i 5 Stelle e i leghisti hanno praticato dal 2011 (cioè dal governo Monti) fino ad oggi.
Da buon fiorentino, Renzi vuole render pan per focaccia a Matteo Salvini e Luigi Di Maio. "Se mi sento isolato? Ma di che?" risponde ai suoi che gli pongono il problema. "Per dirla tutta, per me è addirittura meglio che Silvio Berlusconi stia con Salvini e Di Maio (anche al governo se serve), che non ci siano due realtà del centrodestra divise". Ecco perché l'ex premier si è trasformato nel custode dell'ortodossia del Pd perno dell'opposizione rigorosa. E per lo stesso motivo, in queste prime settimane di legislatura, ha bloccato tutti i tentativi di approccio che alcuni esponenti del Pd hanno fatto verso i vincitori. Grillini in primis. Tant'è che ha tifato per l'accordo tra centrodestra e 5 Stelle, "perché - è il ragionamento che ha fatto ai suoi seguaci in quei giorni - Franceschini è andato dicendo che, in caso di rottura tra Salvini e Di Maio, lui avrebbe fatto il presidente della Camera con i voti dei grillini. E a quel punto sarebbe cominciata la frana".
Raggiunto l'obiettivo di dimostrare al Palazzo che il controllo del Pd continua ad averlo lui, l'ex premier si prepara ad esercitare il ruolo che si è ritagliato all'indomani della sconfitta del 4 marzo. "Io al Senato ho una quarantina di senatori sulle mie posizioni" è il nocciolo della sua tattica, "e alla Camera una cinquantina. Qualunque accordo con il Pd deve passare necessariamente attraverso di me. Io sono pronto a parlare con tutti. Anche con i 5 Stelle. Parlerei anche con loro se mi chiedessero consigli di politica. Ma qualora gli servissero i miei voti, devono essere loro a chiedermeli. Debbono passare per Rignano". Già, Ghino di Tacco si è spostato dalla rocca di Radicofani a Rignano.
(Articolo pubblicato sul n° 15 di Panorama, in edicola dal 29 marzo 2018, con il titolo "La tattica immobile di Renzi")