Ricchi e poveri: ecco perché aumenta il divario
Il rapporto Oxfam parla chiaro. Viviamo in un mondo dove le disuguaglianze si stanno allargando
Pochi sempre più ricchi, molti sempre più poveri. Appena 26 super miliardari hanno in mano la stessa ricchezza di metà della popolazione mondiale. Mentre almeno 3,4 miliardi di individui sulla terra ancora oggi sopravvivono con meno di 5,5 dollari al giorno. È questa l'impietosa fotografia sulle disuguaglianze globali scattata dall'ultimo rapporto di Oxfam, l'organizzazione no-profit che lotta per sconfiggere la povertà nel mondo, presentato alla vigilia del World Economic Forum di Davos.
Sempre più «Paperoni» nel mondo: 316 nuovi miliardari nel 2018.
Secondo i dati del dossier – che si basa su studi di Credit Suisse, Banca Mondiale, World Inequality Lab e Forbes - il numero di chi supera la fatidica soglia di un miliardo di dollari annui, entrando così nell'olimpo dei «Paperoni», continua a salire: dall'ultima crisi economica, deflagrata a settembre 2008 dopo il crollo della banca d'affari Lehman Brothers, i ricchi del pianeta sono passati da 1.125 a 2.208: quasi il doppio. E i miliardari crescono in fretta, se si calcola che solo nell'ultimo anno se ne conta uno in più ogni due giorni. Ma non è tutto.
Se nel 2017 una élite di soli 43 miliardari possedeva quanto la metà della popolazione mondiale, nell'ultimo anno la ricchezza si è ulteriormente concentrata: oggi, i primi 26 miliardari nel mondo hanno una ricchezza pari a quella di 3,8 miliardi di persone. Da solo, il patrimonio di Jeff Bezos, proprietario di Amazon e uomo più ricco del pianeta, è salito a 112 miliardi di dollari: a titolo di esempio, basterebbe l'1 per cento del suo portafoglio a coprire le spese di assistenza sanitaria di tutti gli abitanti dell'Etiopia (105 milioni di cittadini). Insomma, il divario fra ricchi e poveri si allarga.
Il progresso dei più poveri c'è ma ora va a passo di lumaca.
La povertà estrema nel mondo, in realtà, è in costante diminuzione da almeno trent'anni. Nello studio dell'anno precedente, Oxfam rilevava che fra il 1990 e il 2010 il numero delle persone che vivono sotto la soglia di 1,90 dollari al giorno era dimezzato. La novità di quest'anno sta, però, nel rallentamento di questo "affrancamento dall'indigenza" che ora procede meno spedito. Che cosa significa?
«Come segnala la stessa Banca Mondiale, il tasso di riduzione della povertà viaggiava alla media dell'1 per cento annuo ma è rallentato nel triennio 2013-2015 ed è stimato in ulteriore frenata» spiega Mikhail Maslennikov, policy advisor di Oxfam Italia e fra i redattori del rapporto. «Questo vuol dire che si allontana l'obiettivo di sradicare la povertà estrema nel mondo fissato al 2030». Povertà estrema che, peraltro, presenta ormai una soglia non più adeguata a misurare la vera situazione di indigenza in molti angoli del pianeta, tanto che ora si vorrebbe prendere a riferimento quella di 3,20 o 5,50 dollari al giorno.
La ricchezza non è per le donne.
Le diseguaglianze aumentano ancora se si guarda l'universo femminile. Le donne sono tuttora retribuite, in media, il 23 per cento in meno degli uomini a parità di posizione lavorativa. Inoltre, gli uomini possiedono il 50 per cento in più della ricchezza che è in mano alle donne. Non a caso, solo due donne hanno sfondato il tetto dei super ricchi: Alice Walton, proprietaria della catena americana di grande distribuzione Walmart, e la francese Francoise Bettencourt, regina della casa cosmetica L'Oreal. Del resto, visto il peso del potere decisionale maschile e la maggiore presenza di imprenditori, non potrebbe essere altrimenti. E questo nonostante il livello di istruzione delle donne, in molti paesi, sia migliore di quello degli uomini. Non solo.
Lo studio mette il dito nella piaga sull'assenza di riconoscimento del cosiddetto «lavoro di cura» non retribuito a carico delle donne. Oxfam calcola che se le attività prestate ogni giorno in tutto il mondo dalle donne nelle rispettive famiglie (in termini di lavori domestici, assistenza a figli e genitori anziani) fosse retribuito come in un'azienda, genererebbe un giro d'affari annuo pari a 10 mila miliardi di dollari: 43 volte il business di Apple.
Chi ha talento non può usarlo.
Non va meglio sul piano del talento e merito: in Kenya, il figlio di una famiglia ricca ha una possibilità su tre di proseguire gli studi fino all'università mentre chi proviene da un nucleo povero ne ha solo una su 250. Come è possibile sfruttare il talento, se mancano le opportunità per farlo? Una criticità che si traduce nel cosiddetto “ascensore sociale” bloccato e finisce per riverberarsi non solo sul futuro delle singole persone ma anche sullo sviluppo di un paese. Secondo Oxfam, infatti, circa un terzo dei patrimoni dei miliardari sono ereditati: nei prossimi venti anni, appena 500 persone fra le più ricche al mondo lasceranno ai rispettivi eredi più del Pil dell'India con i suoi 1,3 miliardi di abitanti (ovvero 2.400 miliardi di dollari).
La ricetta? Tassare di più chi ha di più per garantire istruzione e sanità.
Per Oxfam la soluzione è lo sviluppo di servizi pubblici universali per tutti, in particolare per quanto riguarda istruzione e sanità: le due politiche più efficaci per riequilibrare le ineguaglianze di un paese. Una ridistribuzione di reddito che, necessariamente, deve avvenire attraverso un più equo prelievo fiscale: insomma, tassare di più chi ha di più, alzando le aliquote ai più ricchi.
Una ricetta che non convince tutti come, per esempio, Carlo Stagnaro direttore dell'Osservatorio sull'Economia digitale dell'Istituto Bruno Leoni che, dalle pagine de Il Foglio ha polemizzato con questa impostazione: «La domanda è: per progressività delle imposte intendiamo che i ricchi devono pagare aliquote più alte o che devono pagare più tasse?». La storia dimostra che laddove l'aliquota sale oltre una certa soglia i ricchi spostano residenza o capitali altrove. «Per fare più ridistribuzione non sempre funziona alzare le aliquote anche perché i più ricchi hanno maggiori possibilità di tutelarsi», prosegue Stagnaro. «Produce più gettito puntare su aliquote più basse ma su una platea più ampia».
Oxfam, però, chiarisce. «Noi nn siamo contro la ricchezza in sé», puntualizza Maslennikov. «Noi vogliamo accendere i riflettori su come si forma tale ricchezza o quanto siano efficienti ed equi i meccanismi per costruirla. Quanti di questi miliardari nel mondo, per esempio, lo sono diventati con clientelismo o monopoli?». Per Oxfam occorrono controlli più severi su corruzione, restrizioni alla concorrenza e attività di lobby, che spesso indirizzano la spesa verso gli interessi di pochi. E soprattutto una seria lotta all'evasione fiscale: oggi, i super ricchi nascondono al fisco 7.600 miliardi di dollari e le multinazionali fanno sparire nei paradisi fiscali enormi profitti che sottraggono ai paesi in via di sviluppo almeno 170 miliardi di dollari all'anno.
I grandi profitti delle «big tech».
Più articolato il ragionamento di Mario Deaglio, professore emerito di Economia Internazionale all'università di Torino e curatore del rapporto «Il mondo cambia pelle», appena presentato dal Centro di Ricerca Luigi Einaudi con Ubi Banca. «Una diversa politica fiscale allevierebbe le diseguaglianze ma è difficile da fare a livello di singolo paese», spiega Deaglio. «Oggi, in un istante i capitali si spostano da una parte all'altra del pianeta e sono difficilmente tracciabili. Mentre le imprese tech possono scegliere di mettere la sede dove sono meno tassate. Così, abbiamo Stati deboli e aziende forti: i primi si accontentano di incassare meno, le seconde di versare meno».
Il rapporto sull'andamento dell'economia globale segnala che nel 2007 delle prime dieci società con maggiori capitali al mondo solo una apparteneva al settore tecnologico: nel 2018, invece, sono ben sette su dieci. Insomma, la tecnologia è ormai strutturale al sistema economico e traina la crescita: bisognerebbe accordarsi fra paesi per recuperare almeno una parte di questo (mancato) gettito.
L'Italia dei molti divari.
E l'Italia? Il nostro paese non si sottrae al trend: solo il 20 per cento di italiani più ricchi detiene i tre quarti della ricchezza nazionale (ovvero il 72 per cento). «Nel 2016 eravamo al diciannovesimo posto in Europa per disuguaglianza di reddito», sottolinea lo stesso Maslennikov di Oxfam. «La situazione è lievemente migliorata ma non siamo tornati ai livelli pre-crisi. E, insieme al tradizionale divario Nord-Sud del paese, se ne sono aggiunti altri: quelli fra generazioni, quelli interni alle regioni (con aree più sviluppate o zone più depresse) e quelli, in aumento, dei working poor che, pur avendo un lavoro, non ce la fanno ad avere una vita decente».