Riforma del Senato: il no di Grasso agli emendamenti Calderoli
Il presidente dell'assemblea respinge le modifiche presentate dalla Lega, ma in vista del voto decisivo non scopre ancora le carte su cosa sia ammissibile
Il presidente di Palazzo Madama, Pietro Grasso, ha definito irricevibili i circa 75 milioni di emendamenti alla legge di riforma del Senato elettivo presentati dal senatore della Lega Nord Roberto Calderoli. Un numero abnorme, lo ha definito, che potrebbe bloccare i lavori per un tempo incalcolabile. Se per il Carroccio la mossa di Grasso creerebbe un precedente gravissimo che finirà per ledere, a prescindere dal merito, i diritti delle opposizioni, per l'ex presidente dell'Antimafia, e anche per la maggioranza che sostiene il governo Renzi, si tratta, politicamente, di una decisione che da un lato velocizza l'approvazione di una legge comunque molto contestata, dall'altro impedisce un Vietnam parlamentare sul quale il governo Renzi si gioca il presente e il futuro.
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Resta sul terreno il nodo del ruolo politico di Pietro Grasso, con il quale, specie nelle ultime settimane, non ha mancato di battagliare anche l'entourage di Matteo Renzi
Resta sul terreno il nodo del ruolo politico di Pietro Grasso, con il quale, specie nelle ultime settimane, non ha mancato di battagliare anche l'entourage di Matteo Renzi, che almeno fino a oggi ha spesso sospettato un ruolo di sponda con la sinistra dem del presidente del Senato. Grasso non ha ancora detto, a proposito della riforma del Senato, cosa è ammissibile e cosa no, come procedere nelle votazioni, se saranno consentiti o meno voti segreti. E non ha nemmeno sciolto la sua riserva sull'emendabilità del contestato articolo 2 (quella sulla non eleggibilità dei senatori). Tutti nodi di grande rilevanza regolamentare che rendono Grasso uno degli attori chiave della complessa partita che si sta svolgendo a Palazzo Madama.
I renziani, fino a ieri, erano convinti che Grasso stesse flirtando con i nemici, al fine di indebolire il premier, farne saltare la road map che prevede l'approvazione della riforma entro il 15 ottobre e, prima della fine della legislatura nel 2017, allargare la maggioranza ad altre componenti, come i 5 Stelle o Sel. La decisione odierna in qualche modo smonta questa tesi tesi complottistica, ma non scioglie i dubbi su quali siano le reali intenzioni del presidente del Senato. E che cosa volesse dire, quando al Corsera, dopo le ferie, ha dichiarato che era necessario - per approvare la contestata riforma - un nuovo accordo politico più largo. Con chi? E soprattutto, dicono i renziani, perché? È solo un caso, si potrebbero chiedere ora, se la bocciatura degli emendamenti Calderoli è arrivata dopo l'accordo Bersani-Renzi sulla riforma del Senato elettivo?