Riforma della scuola: chi difende il sindacato
Contro il merito e a favore di docenti che rifiutano il giudizio. E il rischio, tra Invalsi e scrutini, di strumentalizzare gli studenti
Alternanza scuola-lavoro per ridurre la disoccupazione giovanile, cultura umanista (che sarebbe “umanistica” visto che “umanista” è sostantivo e non aggettivo), più soldi agli insegnanti che lo meritano per restituire loro autorevolezza sociale; autonomia, che non significa né dare soldi alle private né trasformare i presidi in sceriffi; continuità scolastica, assumendo più persone grazie all'organico funzionale. Matteo Renzi è salito in cattedra e con il gessetto ha disegnato sulla classica lavagna d'ardesia lo schema concettuale della sua “Buona Scuola”, attesa alla Camera per il voto finale il prossimo mercoledì 20 maggio ma bocciata dai sindacati nonostante le modifiche apportate al ddl.
Scuola: Renzi spiega la riforma alla lavagna e in una lunga lettera
Riforma della scuola: 15 cambiamenti al ddl originario
La riforma della Scuola, la tomba dei Governi
Insegnanti e studenti restano infatti sul piede di guerra. Non sono bastati lo sciopero generale del 5 maggio, il boicottaggio dei test Invalsi, il bombardamento della bacheca Facebook del presidente del Consiglio con la frase “Noi non voteremo più il Pd perché indignati dal ddl La Buona scuola”, adesso si pensa addirittura di bloccare scrutini ed esami di Stato. Cobas in testa, i sindacati sono pronti a sacrificare un anno di vita dei ragazzi per i quali dicono di combattere, pur di portare alle estreme conseguenze la loro sfida al governo Renzi. Dietro le critiche alla “Buona Scuola” c'è infatti soprattutto il tentativo di frenare la presunta deriva centrista e neo-liberista nella quale l'ex sindaco di Firenze avrebbe gettato la sinistra italiana di cui Bernocchi e compagni si sentono eredi, quella più figlia del '68, del 6 politico e del movimento studentesco che del Pci.
Chi tutelano i sindacati contrari alla riforma
La loro opposizione alla riforma è fortemente ideologica, combattono una battaglia di retroguardia per la conservazione di uno status quo che mira a tutelare gli interessi di docenti prossimi alla pensione o che pretendono una cattedra senza concorso. I primi sono quelli che rifiutano decisamente di essere giudicati, come avviene in tutti i Paesi avanzati del mondo, da chi è "gerarchicamente inferiore" (come ha scritto qualcuno su Facebook), ossia da alunni e genitori. Gli altri sono quelli che pretendono di non dover sostenere un concorso pubblico convinti che la propria laurea abbia valore concorsuale e che essendo abilitati, plurititolati, "con consolidati anni di esperienza sul campo" (ma anche senza nessuna visto che tra i 600mila precari della scuola ci sono anche quelli che non hanno mai svolto un'ora di insegnamento) abbiano diritto all'immissione diretta in ruolo.
La battaglia per la conservazione dello status quo
Che la riforma punti a stabilizzare una parte più o meno grande di loro poco importa. Meglio nessuno che solo qualcuno. Meglio tutte scuole di serie B che qualcuna di serie A con insegnanti da valorizzare e premiare per aver preparato studenti migliori, all'altezza degli standard europei, formati per affrontare l'università o il mondo del lavoro. Visto che "la scuola è troppo complessa e importante" meglio lasciarla così com'è. A parole dicono che la scuola deve cambiare, ma nei fatti respingono ogni tentativo di riforma, comprese le modifiche che recepivano le critiche da loro stessi avanzate. Perché? Per non rischiare di venire accusati di connivenza con il nemico.
Un esempio? Nel testo iniziale del ddl era previsto che fosse il dirigente scolastico, sentito il consiglio di istituto, ad assegnare annualmente le premialità ai docenti più meritevoli. La Commissione ha invece introdotto un Comitato di Valutazione, costituito da due docenti e due rappresentanti dei genitori o un rappresentante degli studenti e uno dei genitori per il secondo ciclo. La modifica è stata respinta per non rendere gli altri "complici" (per dirla con il solito Piero Bernocchi, leader storico dei Cobas che non ha mai messo piede in classe uno sola volta nella vita) delle decisioni del "preside-padrone".
Penalizzati studenti e insegnanti migliori
Il paradosso è che una tale modifica adesso non farà che danneggiare proprio gli insegnanti migliori. Di fronte a premi distribuiti a pioggia per accontentare tutti, chi glielo farà fare (se non la propria coscienza) di continuare a formarsi e a formare al meglio gli studenti, offrendo nel contempo competenze più alte e più qualificate alla propria scuola? Ma i più penalizzati alla fine saranno loro, gli studenti.
Il boicottaggio dei test Invalsi
I sindacati li hanno convinti a disertare i test Invalsi mettendogli in bocca slogan tipo "non siamo crocette". Ma non gli hanno detto che all'esame di guida la patente non la vince chi racconta barzellette divertenti sugli automobilisti. E che quindi prepararsi ad affrontare anche un tipo di verifiche “a quiz” può essere molto utile. Capita infatti (anzi, è praticamente la norma) di essere valutati in base a criteri oggettivi, spersonalizzanti quanto si vuole, ma che giustamente non tengono conto di quanto si possa essere bravi a disegnare o a insegnare ad altri a usare un programma al computer "o con che grazia alcuni di voi danzino"...
La minaccia del blocco degli scrutini
L'ultima mossa è stata la più discutibile: minacciare il blocco degli scrutini, “cruciale appuntamento di lotta”, e in alcuni casi anche boicottare gli esami di Stato. Gi studenti si sono detti d'accordo. Ma quali studenti? Quelli dell'Unione degli Studenti, il sindacato studentesco che reputa i test Invalsi "non educativi ma promotori di competitività" (quella brutta parola che spinge in alto il Pil dei Paesi che corrono e si arricchiscono più del nostro) e che si vanta di rappresentare ragazzi come quello che alla domanda “cosa è peggio della fucilazione”, ha risposto “la buona scuola di Renzi”. Davvero un "fenomeno", come lo ha definito il capo dell'UdS Danilo Lampis. Non c'è che dire.