La riforma della Scuola, la tomba dei Governi
I pericoli per il Governo Renzi che possono venire dallo scontro con professori e studenti e i precedenti storici
Lo statista Matteo Renzi questa volta è salito in cattedra. Il mago della comunicazione 2.0, colui che ha fatto di Internet la sede del suo Governo virtuale, ne ha inventata un’altra delle sue. Per comunicare con il mondo della Scuola, che sappiamo essere sempre al passo coi tempi, ha deciso di non utilizzare i social network, Facebook e Twitter, come avrebbe potuto essere prevedibile conoscendo il personaggio; ma, spiazzando tutti e armato di gesso, si è servito di una semplicissima e normalissima lavagna per illustrare la sua personale rivoluzione copernicana urbi et orbi.
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In più, il Presidente del Consiglio ha dichiarato che la sua riforma non è assolutamente blindata ma si presta a modifiche e suggerimenti. Questo atteggiamento di apertura sta a significare che lo statista Renzi ha capito benissimo che arrivare al muro contro muro con il mondo della Scuola tutto - e se il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, ce lo consente sottolineiamo "tutto" perché la scuola è di tutti (docenti, studenti, genitori e sindacati) - potrebbe minare il destino stesso dell’esecutivo. I numerosissimi pericolosi precedenti che si sono avuti nel nostro Paese dal dopoguerra a oggi ne sono una testimonianza.
I precedenti storici
Per chi ha memoria dei tempi che furono, negli anni della tanto vituperata Prima Repubblica, le cronache narrano che la riforma della scuola era considerata la tomba dei Governi e dei Parlamenti proprio perché rappresentava un ostacolo a dir poco insormontabile per chiunque, sedutosi sulla poltrona di viale Trastevere, sede del Dicastero, provasse a mettere mano su un tema così delicato e fondamentale per un Paese civile. Come non ricordare gli anni Sessanta/Settanta quando la contestazione studentesca animava le piazze e le aule; o gli scontri degli anni Ottanta con il ministro Franca Falcucci.
Dal 1923, dall’era fascista, anno in cui il filosofo Giovanni Gentile realizzò la sua riforma della scuola, l’Italia non ha mai avuto un vero progetto del mondo della scuola complessivo e d’insieme, anche quando il periodo lo necessitava. L’unico vero tentativo che si ricordi avvenne nel 1947, quando il primo Ministro dell’Istruzione della neonata democrazia, il democristiano Guido Gonella, istituì in Parlamento una commissione nazionale d’inchiesta, una sorta di Costituente della Scuola, con il compito proprio di gettare le basi della nuova Scuola italiana. Quella commissione produsse anche un disegno di legge n. 2.100, suddiviso in 13 titoli e 56 articoli, che riuscì ad arrivare alla Camera dei Deputati la sera del 12 settembre 1951. Fine della storia.
Quella legge, così com’era stata impostata, non vide mai la luce. Da quel momento, ogni governo, ogni legislatura e, soprattutto, ogni ministro (in tutto 39 dal 1946 al 2015), l’ultimo Stefania Giannini transfuga di Scelta Civica per mantenere la poltrona, ci ha messo del suo nel produrre un susseguirsi infinito di riforme e controriforme.
Da ultimo, il Presidente del Consiglio, la cui proverbiale modestia tutti conoscono, con gessetto e lavagna ha comunicato anche che non apporrà la fiducia al momento della votazione finale facendo intuire che non ha alcuna intenzione di finire come suoi i predecessori a Palazzo Chigi.
Tuttavia, noi comuni mortali che viviamo di dubbi e di incertezze ci poniamo soltanto un paio di piccole domande: chi stabilisce se una scuola è buona o cattiva? E, soprattutto, con quale criterio si stabilisce se una riforma sia per una buona scuola o per una cattiva scuola?
Visto che parliamo di Scuola e di Istruzione e prestando la massima attenzione alla lezione del professor Renzi, ci permettiamo di rispondere prendendo in prestito l’ode Il cinque maggio di Alessandro Manzoni: La buona scuola di Matteo Renzi "Fu vera Gloria? Ai posteri l’ardua sentenza".