La riforma del Senato: la conta dei voti
Ecco perché alla fine la riforma potrebbe passare senza troppi problemi. Nonostante la minoranza PD
La riforma costituzionale è diventata quasi una questione di "principio". Per Matteo Renzi il ddl Boschi è il terreno della resa finale con la minoranza PD particolarmente agguerrita al Senato. Il premier assicura di avere i numeri per una forzatura, il senatore Pd Vannino Chiti risponde che si tratta di un bluff e spiega: “In seconda lettura servono almeno 161 voti. Mi chiedo: è possibile che una riforma di questa importanza si affronti calcolando se ci sono 159 o 161 voti?”.
Ma oltre a dover trovare la quadra sui numeri nonostante la minoranza ostile del suo partito, Renzi ha anche un altro problema: il Presidente del Senato Piero Grasso ha sciolto la riserva e deciso che l'articolo 2, quello che stabilisce la composizione e l'elettività del Senato, sarà emendabile per cui ci si aspetta una pioggia di interventi. Si tratta di uno dei punti cardine dell'intera riforma, quella che darà il nuovo volto all'assemblea di Palazzo Madama. Con l'emendabilità la discussione si riapre e ogni minima modifica all'articolo comporterà un terzo passaggio parlamentare, mandando all'aria la road map di Renzi che puntava a chiudere tutto entro ottobre.
È partita la conta
Da settimane intorno al nodo riforme è dunque partita la conta dei voti favorevoli e contrari. L'attuale composizione del Senato assegna al Pd 112 seggi, ai quali però bisogna sottrarre i 26 della minoranza, anche se il capogruppo Pd, Luigi Zanda, assicura che qualcuno alla fine rientrerà. Quindi il PD si ferma a metà strada con 86 voti favorevoli sui 161 necessari per portare a casa la riforma senza problemi.
Per questo sono in corso trattative serrate con il nuovo gruppo di Denis Verdini che al Senato conta su 10 senatori pronti a votare con il PD per dare così vita ad un Patto del Nazareno allargato. In soccorso potrebbero arrivare anche gli 11 di Gal che sono politicamente vicini a Berlusconi e quella parte di Ncd che non intende disattendere il programma di governo. Mettendoli d'accordo tutti però Renzi si fermerebbe a 142 voti.
Come mai, dunque, continua a mostrarsi così sicuro di riuscire nel suo intento? La chiave è in Forza Italia. In prima lettura al Senato il partito guidato da Silvio Berlusconi aveva votato a favore del ddl Boschi ed è molto probabile che nonostante la bagarre di queste settimane torni a votare sì al provvedimento. Forza Italia al Senato può portare in appoggio a Renzi 44 voti che consentirebbero di superare l'asticella dei 161, portandola addirittura a 182 consensi. Ad ogni modo il premier può contare anche sul voto dell'emerito Presidente Napolitano che ha da sempre appoggiato il cammino delle riforme e della sua moral suasion all'interno dei gruppi parlamentari, soprattutto nel gruppo "Per le autonomie" (19 componenti), poco conosciuto al grande pubblico, ma proprio per questo decisivo nelle battaglie fondamentali.
L'ipotesi del voto di fiducia
Una volta che si avrà certezza sul numero dei sostenitori, è possibile che Renzi tenti di calcare la mano ponendo la questione del voto di fiducia, rottamando ancora una volta la sinistra interna al suo partito che sta mettendo i bastoni tra le ruote ai suoi progetti.
A nessuno interessa fino in fondo far cadere il Governo ora: in primis non interessa alla minoranza Pd che in caso di ritorno alle urne non verrebbe di certo ricandidata dall'attuale segretario che a quel punto punterebbe a liste di fedelissimi. Inoltre, non è assolutamente detto che si andrebbe a nuove elezioni. È più probabile che Mattarella si affidi ad un Renzi bis. L'unico che in questo momento, in assenza di un centrodestra ancora tutto da ricostruire, potrebbe vincere le elezioni ed assicurare una maggioranza stabile per il governo del Paese. Allora perchè passare per le urne e una dispendiosa campagna elettorale?