Rifugiati in Libia: tutte le responsabilità dell'Onu
Il grido d'allarme contro la UE sulle condizioni disumane dei rifugiati è assurdo. Perché l'Onu ha sempre saputo. Ma non ha mai fatto nulla
In teoria il principe Zeid, Alto commissario delle Nazioni Unite per i Diritti umani, è addirittura l’erede al trono dell’Iraq. Fa parte di una famiglia che discende direttamente da Maometto e si è formato nelle migliori università del mondo, alla John Hopkins negli Stati Uniti e a Cambridge in Gran Bretagna. Una carriera tutta in discesa.
Il suo grido d’allarme per le condizioni dei rifugiati nei 29 centri di detenzione per migranti illegali in Libia si è trasformato in un atto d’accusa agghiacciante non soltanto contro l’Italia, per l’appoggio alla Guardia costiera libica, ma all’Unione Europea che ha sostenuto la svolta nelle politiche migratorie del nostro ministro dell’Interno.
L’obiettivo di Marco Minniti è quello di non tollerare più l’azione da “taxi del traffico di uomini” svolto da alcune ONG e nel mettere fine alla tratta di esseri umani, agli sporchi affari degli scafisti, a riportare sicurezza e stabilità in un Paese devastato dalla guerra mossa da Francia, Regno Unito e Stati Uniti nella complice indifferenza dell’ONU.
L’Italia secondo Zeid si sarebbe macchiata di “disumanità”, perché invece di accogliere a braccia aperte tutti i boat people (carne da macello nelle mani dei trafficanti) si è accordata con le autorità libiche per chiudere la rotta dalla Libia all’Italia.
Peccato che lo stesso principe Zeid non avrebbe mai potuto inviare i suoi emissari nei centri di detenzione libici senza l’azione di pace e diplomatica dell’Italia.
Peccato che in realtà l’ONU fosse perfettamente consapevole, anche prima, degli abusi e delle violenze sui migranti nei centri libici perché decine di funzionari dell’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati sono presenti fra Tunisi, Tripoli e Bengasi per monitorare quei centri da cui sono stati costretti ad andarsene anni fa.
Peccato che già lo scorso settembre erano 658 le visite effettuate dall’UNHCR nei centri di detenzione libici, le cui condizioni erano quindi perfettamente conosciute al Palazzo di Vetro ma mai denunciate con la rilevanza mediatica di questi giorni.
Peccato che l’unica speranza per le Nazioni Unite di rientrare in Libia e mettere sotto controllo la situazione dipenda dalla capacità dell’Italia di riallacciare rapporti diplomatici e di collaborazione con le autorità locali. Siamo l’unico Paese occidentale ad avere riaperto la propria Ambasciata in Libia, e a gestire un ospedale che dà soccorso ai feriti di tutte le guerre libiche.
Peccato che esista anche un inviato speciale dell’ONU in Libia, che mai prima aveva denunciato in questo modo abusi e violenze, e la cui azione ha qualche possibilità di riuscita soltanto grazie alla copertura e all’apporto logistico ed economico dell’Italia.
Peccato che i boat people che salpano dalle coste libiche siano spesso destinati a morire annegati e senza esequie, senza alcuna presenza dell’ONU in grado di fornire aiuto e soccorso effettivi.
Peccato che le organizzazioni delle Nazioni Unite succhino finanziamenti miliardari che sono spesso destinati più a pagare gli stipendi di chi ci lavora (con tutti i privilegi dello status diplomatico e relative prebende) invece che investirli direttamente nello sviluppo e nell’aiuto ai bisognosi.
Peccato che le Nazioni Unite, a partire dalla stagione fallimentare degli interventi dei caschi blu in nome dell’ingerenza umanitaria in Paesi come la Somalia e della viltà imperdonabile del suo contingente a Srebrenica in Bosnia, non siano mai riusciti a mettere fine a una sola guerra (molto più efficace si è dimostrata la comunità italiana di Sant’Egidio).
Peccato che mentre l’Italia nei mesi scorsi abbia lavorato per far tornare l’UNHCR dentro i campi libici per assumerne la gestione, questa uscita del principe Zeid rischi di trasformarsi in un boomerang e pregiudicare a lungo qualsiasi accordo in loco per alleviare le condizioni terribili delle decine di migliaia di migranti che attraversano due continenti, in fuga da guerre e miserie che l’ONU non è mai riuscita né a evitare né a ricomporre, pur di arrivare sulla costa tra mille traversie, disavventure, umiliazioni e violenze, per poi consegnarsi ai trafficanti e affrontare non il rischio ma l’alta probabilità di morire.
Di annegare in quel Mare Nostrum dove finora soltanto gli italiani si sono davvero impegnati, con tutta la loro forza militare, umanitaria, economica, a dare soccorso e salvare vite. Nella totale assenza delle Nazioni Unite e molto molto lontano dai binocoli (e monocoli) del Palazzo di Vetro.